L’economia è la “triste scienza”, secondo la definizione del filosofo Thomas Carlyle. Prima di lui, Thomas Malthus aveva affermato che la maggioranza degli esseri umani è condannata a un destino eterno di miseria (per questioni legate alla demografia) e nessuno sviluppo economico, a suo dire, può evitarlo. Senza arrivare a tali estremi, la scienza economica ha per oggetto la gestione di risorse scarse, e questo è proprio nella sua natura: in un ipotetico Paese della Cuccagna una scienza economica non avrebbe ragion d’essere. Da ciò si deve forse dedurre che l’economia, quella che si occupa del mondo reale, sia necessariamente una scienza triste? Occuparsene, da studiosi o da operatori di mercato, induce a un naturale pessimismo?
L’INTERVISTA A UN IMPRENDITORE
Anni fa l’autore di quest’articolo intervistò il proprietario di un importante gruppo industriale italiano e gli chiese se rispetto alla congiuntura economica del momento era ottimista o pessimista. Quell’imprenditore rispose: “Se io fossi pessimista al mattino non mi alzerei neanche dal letto”. Il fatto è che un imprenditore pessimista è un ossimoro, una contraddizione in termini. Tutti gli imprenditori sono ottimisti per natura, e vivono le fasi di recessione o contrazione economica come temporanee; magari qualcuno di loro getta la spugna, e davvero rinuncia ad alzarsi da letto al mattino e a fare impresa, ma ne spuntano altri per rilanciare l’economia. Quello che vale per l’industria si può dire anche, mutatis mutandis, per i mercati finanziari: nel breve e medio termine gli indici possono scendere, ma nel lungo salgono sempre, se non altro perché ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ai fondi d’investimento, ai fondi pensione eccetera affluiscono in continuazione nuove masse di capitali, che devono pur essere investite da qualche parte, perciò esercitano una costante pressione al rialzo sui listini; certo ci sono cadute temporanee, ma sono rarissimi i casi storici in cui si verifica un lungo blackout mondiale come la Grende Depressione degli anni ’30, oppure come quello della Borsa di Tokyo, che per ben 34 anni consecutivi è stata sotto al record storico che aveva raggiunto – ma persino in quel caso il recupero e il sorpasso sono arrivati, nel 2024. Di solito non si aspetta così tanto, la marcia degli indici, sia pure con oscillazioni, è sempre al rialzo.
“L’ECONOMIA DELL’OTTIMISMO” DI LUCIANO CANOVA
Ora, per quanto le risorse di cui si occupa la scienza economica siano per definizione scarse, constatare tre o quattro secoli di crescita economica mondiale enorme, sia pure a strappi, accompagnata da paralleli exploit nei livelli di reddito pro-capite, di istruzione, di salute e di durata della vita, smentisce la natura triste dell’economia. Il libro “L’economia dell’ottimismo”, di Luciano Canova (il Saggiatore, 2025) mostra come la fiducia in un domani migliore, e la volontà di realizzarlo, siano state il motore di uno straordinario progresso economico plurisecolare esteso, sia pure in varia misura, a tutti i continenti; ovunque, inclusa l’Africa nera, e con la sola eccezione delle zone di guerra, sono evidenti straordinari progressi “anche solo rispetto a mezzo secolo fa: calo vertiginoso della mortalità infantile, aumento costante dell’alfabetizzazione, diminuzione globale della povertà”. La percezione diffusa sui mass media è opposta, dice Canova, ma la realtà è questa, anche in Africa.
OGNI GIORNO DA 130 A 250 MILA POVERI IN MENO
Numeri alla mano, Canova contesta la vulgata secondo cui sul pianeta Terra i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri: la prima affermazione è vera, ma la seconda no, perché il movimento al rialzo è generalizzato, sia pure a velocità differenti: alla figura del supermiliardario, “che riempie spesso le pagine dei nostri mass media”, fa da controcanto “l’aumento della produttività e dei redditi di tutti”: è vero che c’è ancora un miliardo di persone in condizioni di povertà estrema, ma ogni giorno nel mondo escono da questa condizione fra le 130.000 e le 250.000 persone (a seconda di come si fissa il parametro di povertà estrema). Può darsi che alla crescita economica costante ci siano delle alternative, dice il libro di Canova, ma fino ad ora la storia ce ne ha proposta in concreto soltanto una, cioè la stagnazione, la mancanza di crescita; e di questa l’umanità ha fatto ampiamente esperienza. In tali condizioni, “l’unico modo di stare meglio era che qualcun altro stesse peggio. Era un’economia a somma zero”. Oggi abbiamo spezzato quella maledizione.
LA PRESSIONE SULLE CLASSI MEDIE E BASSE OCCIDENTALI
Le tesi di Canova si possono criticare; in particolare, sarebbe difficile negare che negli ultimi due o tre decenni la globalizzazione economica ha danneggiato la classe media e la classe operaia del Paesi sviluppati dell’Occidente, esponendoli alla concorrenza dell’ex Terzo mondo; però potrebbe trattarsi più di freno alla crescita dei redditi che di un vero e proprio impoverimento, cioè di un fatto relativo anziché assoluto. In ogni caso va registrato che si tratta di un fenomeno “macro” che è all’origine (assieme ad altri, come la pressione migratoria) della reazione politica populista.
I LIMITI DELLO SVILUPPO IMPOSTI DALL’AMBIENTE
Un’altra considerazione a latere è che lo sviluppo economico illimitato potrebbe risultare incompatibile con la tenuta ambientale del pianeta. Ma da molti anni i teorici del “green deal” ci dicono che crescita e ambiente potrebbero tenersi per mano se si realizzasse una transizione ecologica ben congegnata. Quindi questa critica ha un suo peso, certamente, ma non taglia le gambe, di per sé, alla prospettiva economica ottimista.
MA L’ECONOMIA E’ UNA SCIENZA?
Caso mai si potrebbe sollevare un’altra questione: d’accordo, l’economia potrebbe non essere la “triste scienza”, perché (forse) non è così triste come supponeva Carlyle; ma è una scienza? Canova dedica alcune pagine a difendere gli economisti dall’accusa che fece loro la regina Elisabetta in un discorso, diventato famoso, alla London School of Economics: come mai, chiese la sovrana, non siete stati capaci di prevedere la crisi del 2008? Che non è stata una crisi congiunturale (in quel caso gli errori di previsione ci possono stare) ma di sistema, una crisi che qualche voce isolata, come quella di Nouriel Roubini, aveva preconizzato, ma che la corporazione degli economisti nel suo complesso non ha visto arrivare?
Canova ribatte che “l’economia non è una scienza delle previsioni”. Però, si potrebbe contro-obiettare: se una scienza non sa fare previsioni è davvero una scienza? Ed è accettabile che non sappia farle su questioni non di dettaglio, ma di sistema?
Resta irrefutabile la dichiarazione di quell’imprenditore: “Se io fossi pessimista al mattino non mi alzerei neanche dal letto”. Un imprenditore pessimista è un ossimoro, una contraddizione in termini, e da qui sgorga il fondamentale motore dell’economia: l’ottimismo.
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