Pensioni 2025, ecco cosa cambia tra chi ha cominciato prima o dopo il 1996

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Ci sono date molto particolari per il sistema previdenziale italiano. Date spartiacque che determinano vantaggi e svantaggi in termini di possibilità di pensionamento, ma anche nel calcolo delle pensioni. Negli ultimi 35 anni, il nostro sistema ha subito tre grandi riforme. E si attende con ansia il nuovo capitolo, poiché una nuova riforma delle pensioni è auspicata da molti. Tuttavia, nel 2025 questa riforma non c’è stata.

Le riforme entrate in vigore negli anni sono 3: la riforma Amato del 1992, la riforma Dini del 1996 e la riforma Fornero del 2019. Tutte hanno avuto la loro importanza per vari motivi, ma la più fondamentale è stata quella contributiva di Lamberto Dini, avviata dal 1° gennaio 1996.

Ed è proprio il 1996 l’anno spartiacque, che con la riforma Fornero ha assunto ancora maggiore rilevanza, dividendo la platea dei contribuenti tra chi ha iniziato a versare contributi prima e chi dopo il 1996.

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Pensioni 2025, ecco cosa cambia tra chi ha cominciato prima o dopo il 1996

Partiamo da ciò che maggiormente balza agli occhi. Parliamo del fatto che la riforma Dini è detta riforma contributiva perché ha portato il sistema a un cambio di regole nel calcolo delle prestazioni, regole valide anche per le pensioni 2025.

Prima della riforma, le pensioni venivano calcolate interamente sulla base delle ultime retribuzioni percepite (in genere gli ultimi 5 o al massimo 10 anni). L’effetto era che molti lavoratori, ottenendo stipendi più alti sul finire della carriera (magari con incrementi di livello o cambi di mansione), riuscivano ad avere pensioni molto elevate, di poco inferiori agli stipendi percepiti.

Dopo la riforma Dini, invece, le pensioni sono diventate contributive, ossia basate interamente sui contributi previdenziali versati.

Contributi che, rispetto alla retribuzione, rappresentano solo una fetta (basti pensare che un lavoratore dipendente versa il 33% della retribuzione). Il montante viene poi rivalutato all’inflazione e moltiplicato per i coefficienti di trasformazione, sempre più favorevoli all’aumentare dell’età di pensionamento.

Le regole di calcolo e come cambiano tra sistema retributivo e sistema contributivo

Le pensioni calcolate con il sistema contributivo sono quasi sempre inferiori rispetto a quelle retributive. Con la riforma Fornero è stata introdotta una sorta di salvaguardia sulle regole di calcolo, dal momento che per i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi prima del 1996 è previsto il sistema misto.

In pratica, una parte della pensione è calcolata con il sistema retributivo, mentre l’altra segue il sistema contributivo. Inoltre, per chi ha maturato più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, la possibilità di sfruttare il calcolo retributivo più favorevole è estesa fino al 31 dicembre 2011.

La data spartiacque sulle pensioni, come cambia la quiescenza

Il 1996 è davvero la data spartiacque in ambito pensionistico, anche per quanto riguarda le regole di uscita dal mondo del lavoro. Andare in pensione per chi ha versato prima o dopo il 1996 può cambiare radicalmente. Esistono infatti pensioni – anche nel 2025 – dedicate esclusivamente a chi ha iniziato a versare dopo il 1995. Sono chiamate misure contributive proprio perché destinate ai cosiddetti nuovi iscritti.

Per esempio, c’è la pensione anticipata contributiva, che si può ottenere a 64 anni di età ed è riservata esclusivamente ai contributivi puri.

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Servono 20 anni di versamenti, ma bisogna anche raggiungere una pensione non inferiore a 3 volte l’importo dell’assegno sociale, ridotta a 2,6 volte per le lavoratrici con due o più figli o a 2,8 volte per quelle con un solo figlio.

Anche la pensione di vecchiaia classica cambia in base a questa distinzione. Infatti, chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 può andare in pensione con 67 anni di età e 20 anni di contributi. Chi invece ha cominciato a versare dopo il 31 dicembre 1995, oltre ai 67 anni e ai 20 di contributi, deve anche raggiungere un importo minimo della pensione, non inferiore all’assegno sociale.

Età ma non solo, ecco cosa cambia davvero per le pensioni 2025 tra retributivi, misti e contributivi

Per andare in pensione come contributivi puri, è necessario raggiungere certi importi minimi della prestazione. Una circostanza resa più complicata dal fatto che, nel sistema contributivo, le pensioni non vengono integrate al trattamento minimo e non godono di maggiorazioni sociali, a differenza di quanto accade nel sistema retributivo o misto.

D’altro canto, per chi ha iniziato a versare dopo il 31 dicembre 1995 esistono, ad esempio, vantaggi legati ai versamenti da precoce, perché ogni anno di contributi (o frazione di anno) versato prima della maggiore età può valere 1,5 volte. Un beneficio che non esiste nel sistema retributivo.

Inoltre, per i lavoratori con contribuzione post 1995 c’è la possibilità di ottenere la pensione di vecchiaia con 5 anni di contributi a 71 anni. Un’opzione inesistente per chi ha iniziato a versare prima del 1996.

Per le lavoratrici il sistema contributivo non lesina vantaggi per le pensioni 2025

Il sistema contributivo, poi, per le pensioni 2025 offre ulteriori vantaggi sull’età di uscita e sul calcolo, in base al numero di figli avuti dalle lavoratrici.

Per esempio, l’età pensionabile (sia per la vecchiaia a 67 anni, sia a 71 anni o per l’anticipata a 64) può essere ridotta, su richiesta, di 4 mesi per ogni figlio, fino a un massimo di 16 mesi per chi è diventata mamma 4 o più volte. Oppure, in alternativa, si può richiedere all’INPS il calcolo più favorevole della pensione.

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Per le lavoratrici diventate mamme una o due volte, il calcolo può avvenire con il coefficiente di un anno successivo. Per chi ha avuto più di due figli, il coefficiente può migliorare anche di due anni.

In sostanza, si può uscire per esempio a 67 anni. Ma con il coefficiente di calcolo previsto per 68 o 69 anni, oppure a 64 anni con il coefficiente di 65 o 66 anni.



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