«Fin dai primi provvedimenti, Donald Trump tende a segnare una discontinuità con l’amministrazione precedente». Il giornalista e analista americano Andrew Spannaus – noto per aver anticipato la rivolta populista negli Stati Uniti e in Europa nei volumi Perché vince Trump (2016) e La rivolta degli elettori (2017), pubblicati in Italia da Mimesis Edizioni, come anche il successivo L’America post-globale (2020) – indica la direzione che potrebbe seguire l’America durante il secondo mandato di Trump, insediatosi il 20 gennaio dopo il giuramento ufficiale all’interno della Rotonda di Capitol Hill. E, con essa, il mondo intero.
Dalla lotta all’immigrazione clandestina al ripristino della pena di morte federale, dagli investimenti sull’AI allo stop agli accordi di Parigi sul clima: come sarà la nuova America di Donald Trump?
«I primi cambiamenti di Trump tendono a marcare le differenze ideologiche con l’amministrazione precedente, su temi caldi come l’immigrazione, il gender, l’ambiente. Hanno conseguenze reali per molte persone, ma alcuni provvedimenti saranno contestati in tribunale e, in ogni caso, i cambiamenti più sostanziali, e duraturi, dovranno passare per il Congresso. Sui temi economici ci sarà una certa continuità con l’amministrazione Biden, nel perseguimento della ricostruzione industriale del Paese. Ma rimane la questione di quanta influenza avrà la fazione più liberista, i repubblicani tradizionali, nella sua seconda presidenza».
L’azione di Trump ha impresso un’accelerazione sulle trattative che hanno condotto alla tregua a Gaza. Sarà così anche per la guerra in Ucraina?
«La partita sull’Ucraina inizia ora. Vediamo già un posizionamento diverso rispetto alla campagna elettorale, con entrambe le parti che adottano posizioni di partenza dure. Il solo fatto di iniziare un negoziato è positivo, e ci avvicina almeno a un congelamento del conflitto. Non sarà facile, perché gli interessi in gioco sono pesanti, soprattutto per la Russia, ma una dose di realismo nella politica estera può aiutare ad un miglioramento nella situazione, riconoscendo che nessuno può vincere del tutto».
In una conferenza stampa, il tycoon non ha escluso l’uso della forza per l’annessione di Panama e Groenlandia. Pensa che le sue minacce avranno un seguito?
«L’obiettivo di queste provocazioni è di aprire nuovi spazi per far avanzare gli interessi americani. È successo subito con la Groenlandia, visto che il primo ministro del territorio, e anche il governo danese, hanno comunicato la loro disponibilità a discutere una maggiore collaborazione su temi fondamentali come lo sfruttamento delle risorse naturali. Questo è uno degli aspetti chiave visto il contesto della competizione strategica globale, che spiega il modo in cui Trump agisce. Per quanto concerne Panama, si tratta di limitare l’influenza della Cina, obiettivo condiviso dalle istituzioni USA, ma non facile da ottenere. Solo un grave errore di calcolo nel condurre questo gioco potrebbe portare a una sfida militare».
Come immagina che saranno i futuri rapporti fra Usa e Ue?
«Gli Stati Uniti di Trump non si fidano delle istituzioni sovranazionali: non è una novità nella storia americana. Per questo sarà importante sfruttare le opportunità bilaterali per stabilire un rapporto di collaborazione con la nuova amministrazione. L’Italia ha un vantaggio in questo senso, vista l’affinità tra Meloni e Trump. L’Europa dovrà pensare più seriamente ai propri problemi strutturali, a partire dalle regole ordoliberiste, e adattarsi al nuovo contesto globale. Significa perseguire i propri interessi nel quadro dell’alleanza occidentale».
Qual è il suo giudizio sui nuovi membri dell’amministrazione Trump?
«I personaggi scelti da Trump per la nuova amministrazione indicano un approccio diverso rispetto al primo mandato: non più creature delle istituzioni con grande esperienza, ma outsider che devono rispondere prima di tutto al requisito di lealtà alle priorità del presidente. Alcuni sono poco qualificati, altri capaci ma opportunisti. Il presidente cercherà di imporre la sua visione e di gestire il conflitto tra l’ala populista e quella più pragmatica e mercatista. Sarà importante vedere se il Vicepresidente JD Vance avrà un ruolo nel garantire un’aderenza alla visione nazional-populista rispetto ai miliardari provenienti dalla finanza e dal big business».
Elon Musk chiamato a dirigere l’ufficio per l’efficienza governativa. Crede che la sua influenza potrebbe risultare determinante nelle scelte di governo?
«Elon Musk ha già dimostrato la capacità di influenzare le scelte di Trump. E il DOGE è stato trasformato da comitato esterno con funzioni consultive a un ufficio all’interno della struttura esecutiva con il potere di interfacciarsi con tutte le altre agenzie pubbliche. Vivek Ramaswamy è già andato via per differenze di visione, e ora Musk si concentrerà sul taglio della spesa e l’efficientamento informatico. Si presentano importanti conflitti di interesse e c’è da aspettarsi scontri significativi rispetto ai tagli che saranno proposti. Anche qui, la sfida tra MAGA e il mondo business si farà sentire».
Qual è la sua opinione sul perdono accordato da Trump ai 1.600 assalitori di Capitol Hill?
«Trump è fissato sulla difesa dei suoi gravi errori in merito alle elezioni del 2020. Non concedere la grazia avrebbe significato riconoscere, almeno in parte, l’errore dei suoi sostenitori. Si tratta comunque di una mossa molto dannosa per lo stato di diritto. Trump conferma che il suo ego viene prima della Costituzione, e così comincia già a perdere sostegno tra le forze dell’ordine».
Abolito lo “ius soli”, 22 Stati dem e due città hanno fatto ricorso: il tycoon potrebbe dover fare un passo indietro?
«Il provvedimento per revocare lo Ius soli è palesemente anticostituzionale. Ignora il 14mo emendamento e quindi sarà cassato dai tribunali. L’unica speranza per Trump è che la Corte Suprema, dominata dai conservatori che hanno già dimostrato la disponibilità a rivedere i precedenti legali, trovi un cavillo per concedere un’eccezione parziale alla regola. Sarebbe un ulteriore segnale della politicizzazione della giustizia».
Non ci sono ancora dazi ai Paesi stranieri: è solo questione di tempo?
«I dazi arriveranno, ma a partire dai paesi più importanti per ridurre il deficit commerciale americano: Messico, Cina e Canada. L’obiettivo è duplice: costringere i partner a fare concessioni su altri temi, tipo l’immigrazione, e poi anche contribuire alla reindustrializzazione degli Stati Uniti. In questo primo periodo, sembra che prevalga la visione più pragmatica, cioè utilizzare i dazi come un’arma per le trattative, piuttosto che agire in modo globale a prescindere dalle conseguenze a breve termine. In ogni caso, per i Paesi europei arriverà il momento in cui bisognerà accordarsi con Washington per riequilibrare la bilancia commerciale. L’Europa ha gli strumenti per rispondere, ma, piuttosto che il muro contro muro, l’approccio intelligente sarà capire la visione economico-strategica che domina a Washington in questo momento».
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