La democrazia rappresentativa in Italia si compone di 600 parlamentari, di cui solo 12 eletti all’estero. Gli eletti all’estero godono degli stessi privilegi di quelli eletti in Italia e, in ogni caso, la rappresentatività loro concessa è universale e senza limiti territoriali o circoscrizionali.
Sorprende come il legislatore, nel 2001, con la legge n. 459/2001, non abbia considerato come l’eleggere 12 onorevoli all’estero, su una base molto ristretta di elettori, pari ad un decimo di quelli nazionali, molti dei quali disconnessi con l’Italia dopo più generazioni e molti altri privi addirittura della minima conoscenza della lingua italiana, avesse poi portato il paese sulla via sbagliata del riconoscimento di una rappresentanza ben poco democratica, a detta di molti dei cultori della materia.
Il voto all’estero di 12 parlamentari, tutti con pieni poteri e in attività in un mondo di italianità ben poco consapevole e particolarmente confuso sui diritti e doveri civici che una cittadinanza comporta, mondo d’italianità all’estero peraltro caratterizzato anch’esso, molto di più di quanto avviene già in patria, da una sempre più alta percentuale di astensione dal voto.
Trattasi, oltretutto, a detta della maggior parte dei cultori della materia, di un voto all’estero altamente concentrato e particolarmente strumentalizzato in soli pochi circoli elettorali. Associazioni e sodalizi spesso oggetto di eventi scandalosi e di deplorevoli brogli, caratterizzati da voti di scambio, da truffe organizzate con voti di cittadini defunti, dal consistente maneggio di plichi persi per irreperibilità del destinatario e poi riapparsi, da portaborse con le valigie piene di plichi elettorali rubati o venduti.
Per quanto riguarda la riforma del voto all’estero e quindi come da dettato costituzionale previsto agli art. 48, art. 56, art. 57, art. 58, si ricorda che l’elezione di 12 parlamentari all’estero, con pieni poteri, è attualmente inficiata da gravi problemi, quali brogli elettorali, voti di scambio, conflitti d’interessi, irreperibilità dell’elettore, un’affluenza ridicola intorno al 25%, e un costo politico altissimo da finanziare con le tasse pagate di tasca propria dagli italiani residenti in Italia.
Il mandato propositivo per un percorso di riforma sul voto ricade sul Parlamento, sulle Commissioni parlamentari Estero di Camera e Senato, sugli stessi parlamentari estero e ultimamente anche sul CNEL che, come organo previsto dalla nostra Costituzione, ha il potere di effettuare proposte di legge.
Oltre a tali organismi, ma buon ultimo, in quanto scarsamente funzionale e da tempo ormai poco considerato quale organo di consulenza, il CGIE-Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Un’istituzione in piena crisi d’identità, resasi ormai da diversi anni inascoltata ed inattendibile, in quanto colma a dismisura con membri che la compongono di conflitti d’interessi.
Sempre per quanto riguarda il CGIE, analizzando la sua attuale composizione interna, si riscontra che tra i 63 consiglieri previsti e nominati sono presenti, tra i 20 di nomina governativa, numerosi membri in rappresentanza della rete sindacale, patronale, scolastica (enti gestori). Inoltre, molti degli altri attuali 43 consiglieri eletti nelle varie Assemblee Paese provengono dalla rete dei Comites e da quelle associative. Reti dove da sempre emergono problemi, interessi di parte determinando di fatto una rappresentanza quasi del tutto inconsistente ed inesistente.
Il mondo del CGIE, pertanto, evidenzia al suo interno, come già sottolineato in precedenza, un insieme rilevante di conflitti d’interessi. A causa di ciò, pertanto, impone l’esigenza di venire urgentemente modificato nella sua forma, composizione, metodologia operativa e, soprattutto conseguentemente, in via prioritaria, nel suo apposito dettato legislativo.
Al suo interno, molti tra i parlamentari eletti all’estero traggono la loro provenienza da esperienze patronali (patronati finanziati dallo Stato con 500 milioni di euro all’anno suddivisi tra i 480 patronati ubicati in 20 paesi), esperienza che quindi li colloca in una vera e propria condizione di privilegio, giacché quindi in possesso di importanti dati sugli elettori, oppure di dati altrettanto importanti quali quelli tratti da esperienze associative.
E tutto ciò avviene con maggior facilità specialmente in SudAmerica, dove addirittura un partito controlla gran parte della rete associativa latinoamericana, trovandosi quindi grazie a ciò in una efficace condizione di privilegio con i dati in loro possesso e in funzione della possibilità di controllo ed utilizzo della base associativa, cosa quest’ultima efficacissima e utilissima a condizionare e ad influenzare il voto.
Allarma l’Italia e quindi lo Stato stesso, il dato di fatto, riscontrato e verificato nelle ultime elezioni politiche del 2022, che circa 1.400 associazioni registrate in tutte le nostre reti diplomatiche consolari nei diversi paesi siano in grado di incorporare una base associativa di quasi mezzo milione d’iscritti tutti partecipanti al voto, quindi di quasi il 50% degli 1.084.303 voti validi per le elezioni dei parlamentari alla Camera e degli 1.089.689 voti validi per gli altri membri del Senato.
Ci si chiede al riguardo, con ansietà e certamente anche un po’ di apprensione, se in funzione di quanto si è potuto rilevare i parlamentari eletti siano il risultato di una reale democrazia rappresentativa o piuttosto di una vera e propria oligarchia.
Quanto premesso, secondo i cultori della materia, dovrebbe obbligare gli italiani, nell’interesse di una più sana democrazia ben partecipata e rappresentativa, di provvedere il prima possibile a legiferare nuove norme che tutelino lo Stato, o meglio, a loro dire, l’insieme dei cittadini che di diritto fanno parte dello Stato.
Il sistema di voto all’estero così impostato, come da fin troppo tempo risaputo dalla nostra politica, non quadra più ed è ora che lo Stato provveda a correggere una situazione divenuta ormai a dir poco paradossale. Nulla vieta di scomporre o di separare il diritto di cittadinanza dal diritto di voto, ove manchino le condizioni essenziali di una vera consapevolezza del voto nei cittadini che hanno scelto di risiedere stabilmente all’estero. In Europa, peraltro, è già reperibile una conferma in tal senso, in quanto vi sono diversi paesi che limitano il voto dei loro cittadini all’estero, giustificando tale limitazione con la fondata considerazione che, nei tanti anni trascorsi fuori dalla madre patria, appare del tutto normale che chi vive da tempo stabilmente all’estero perda la connessione politica con il proprio paese.
Da una semplice ricerca tra i diversi paesi membri di peso in Europa, facile da effettuare, risalta chiaramente in tutta la sua evidenza il fatto che la stessa Germania ha già legiferato in tal senso, decidendo di depotenziare il diritto di voto dei suoi cittadini che risiedono all’estero da più di 25 anni e che di fatto non contribuiscono più, come spetterebbe loro, agli interessi dello Stato di appartenenza.
Da affrontare separatamente, poi, sempre a tale riguardo, il tema molto attuale dei requisiti per l’ottenimento della cittadinanza, con tutte le sue varianti per la sua concessione o il riconoscimento della stessa, quali ius sanguinis, ius soli, ius scholae, ius Italie o altra sua espressione, trattandosi di un importante problema che richiede iter applicativi ben più severi ed approfonditi.
La cittadinanza è una materia seria e di grande rilievo, in quanto in grado di influenzare sensibilmente le sorti e i destini della madrepatria. La sua mercificazione, quindi, come purtroppo oggi accade di vedere sempre più spesso, va fermata con fermezza e severità, secondo quanto chiede la maggioranza degli italiani, in patria e addirittura anche al di fuori di essa. Troppi gli interessi in gioco di faccendieri e legali che, ancora oggi, speculano e approfittano di una nostra legge sulla cittadinanza (la n. 91 del 1992), sin troppo permissiva e oltremodo piena di lacune.
I casi recenti riportati dai media concernenti le cittadinanze fasulle concesse in Venezuela a dei membri filo libanesi, collegati addirittura al gruppo internazionale terrorista degli Hezbollah, impone al nostro governo ed al paese di adottare, ed anche prontamente, efficaci e reali contromisure per bloccare o, quanto meno minimizzare, casi analoghi agli accadimenti verificatisi e, soprattutto, anche a tutti quelli, purtroppo ormai quasi certamente, già in corso d’opera.
Gli studiosi della materia e gli italiani residenti in patria chiedono perentoriamente al Governo ed agli eletti che il nostro diritto di cittadinanza venga adeguatamente protetto e soprattutto che la politica di casa nostra si concentri nel riconoscere il voto, primariamente agli italiani residenti in patria, che ogni giorno si alzano per lavorare, contribuire e sostenere, pagando le tasse. il sistema Italia.
Mancando i parlamentari eletti all’estero ed i membri eletti all’interno del CGIE della corretta e più opportuna indipendenza propositiva, non resta altro che sperare che siano il Parlamento, nella sua globalità, e il rinnovato CNEL, quale organo a rilevanza costituzionale di consulenza del governo e delle Camere, a riuscire concretamente a riformare il mondo degli italiani all’estero, senza il perpetuarsi delle mostruosità dei numerosi conflitti d’interessi di parte, del potere oligarchico delle reti patronali ed associative, delle potenti forze di lobby che profittino ancora del commercio e della mercificazione della nostra cittadinanza all’estero. (Pier Francesco Corso)
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link