«Bambini morti di tumore, animali nati malformati»

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È stata la disperazione di un pugno di mamme e di ambientalisti a far partire quel ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ieri, dopo dieci anni, ha portato alla condanna dell’Italia. Una vittoria amara, dunque , per chi ha visto morire i propri figli in una corsia d’ospedale.

«Sono stati i medici dell’ospedale Gaslini ad aprirmi gli occhi ricorda Marzia Caccioppoli Quando diagnosticarono al mio Antonio un gliobastoma, mi spiegarono che la malattia poteva essere legata alla situazione ambientale. Io mi documentai e scoprii che nella mia zona, quella che tutti chiamano Terra dei Fuochi, c’era un numero altissimo di tumori tra i piccoli e i piccolissimi. Perciò dopo la morte del mio bambino mi sono messa in contatto con altre mamme ed altri papà ed dato vita all’associazione “Noi genitori di tutti” che si riunisce a Caivano nella parrocchia di don Patriciello. Poi, insieme a un gruppo di ambientalisti, abbiamo presentato il ricorso alla Corte Europea che finalmente ha riconosciuto il nostro diritto a chiedere un ambiente più sano. Abbiamo lottato e abbiamo vinto: adesso sono le istituzioni a doversi mobilitare». «Oggi la mia Alice avrebbe tredici anni, ma la sua vita è stata spezzata da chi ha avvelenato le nostre terre racconta Luisa Crisci Quando la mia bambina si è ammalata ho vissuto per un anno in una corsia dell’ospedale Pausilipon dove ho incontrato tante altre mamme disperate come me. Là ho capito una cosa: i nostri figli erano vittime di una strage, una strage provocata da chi seppelliva i rifiuti per fare più soldi, di chi inquinava senza fregarsene delle conseguenze. E ho deciso che, anche se la mia Alice se ne stava andando, l’ecatombe andava fermata. Così ho deciso di firmare il ricorso alla Corte Europea e di aderire all’associazione “Noi genitori di tutti”. I bambini ricoverati con Alice in quell’anno maledetto, il 2013, sono morti tutti, quelli della Terra dei Fuochi, e anche quelli che come mia figlia vivevano a Napoli: nessuno è immune al veleno dei rifiuti tossici. Prima io stessa ignoravo che esistessero i tumori pediatrici: se tutti sapessero quello che c’è dentro quegli ospedali le cose cambierebbero. E invece ancora troppi si girano dall’altra parte, fanno finta di niente. Noi dell’associazione, invece, abbiamo scelto come sede la chiesa di don Patriciello a Caivano e aiutiamo tanti genitori che devono affrontare quello che abbiamo sopportato noi. Ci battiamo, la Corte di Giustizia europea ci ha dato ragione, ma di bonifiche non c’è ancora nemmeno l’ombra».

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IL DOLORE

Miriam, la figlia di Antonietta Moccia è sopravvissuta ma porta ancora i segni del male che l’ha devastata: è quasi sorda, ha danni alla colonna vertebrale. «A mia figlia fu diagnosticato un metullo blastoma al quarto stadio, uni dei più aggressivi tumori pediatrici. I medici del Pausilipon mi dissero che quel male colpisce un bambino su un milione di abitanti e invece io conoscevo altri tre casi solo ad Acerra. I conti non tornavano. Allora io e altre mamme decidemmo di reagire e con l’avvocato Valentina Certonze preparammo il ricorso. Ma quella che abbiamo ottenuto non è una vittoria, ma solo il riconoscimento che non siamo pazze: il nesso tra le malattie e l’ambiente esiste. Eppure le bonifiche non sono mai iniziate. Adesso spero che dopo la sentenza siano finite le chiacchiere e sia arrivata l’ora dei fatti». Alessandro Cannavacciuolo non ha reagito per difendere i propri figli, ma per salvare la sua azienda. «La mia è una famiglia di pastori di ovini da generazioni racconta – e all’inizio degli anni Duemila mio padre si accorse che nascevano bestie deformi. Abbiamo avuto anche agnelli con due teste, con un solo occhio o senza zampe. Così abbiamo cominciato a manifestare e a mostrare alla cittadinanza e alle autorità la nostra situazione disperata. È stato allora che ci siamo accorti che ad Acerra e nei comuni limitrofi utilizzavano le nostre terre come discariche. Dopo le denunce ci hanno incendiato auto, ammazzato cani e pecore: dal 2004 in poi abbiamo subito minacce continue anche dopo che alcune aziende sono state condannate per disastro ambientale. Non ci siamo fermati, ci siamo affidati ad esperti e tramite legali ci siamo rivolti alla Corte di giustizia: mio padre è il primo firmatario della denuncia. Abbiamo fatto analizzare il suo sangue ed abbiamo scoperto che ha un’ alta concentrazione di diossina e metalli pesanti. Avevo 14 anni quando questa storia è cominciata, e non mi sono mai fermato – ricorda – Per me e per gli altri la battaglia contro i veleni è continua: la sentenza è importante, ma bisogna che tutti lo capiscono: le nostre vite valgono non possono essere divorate da chi sparge veleni per fare più soldi».
 





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