Il paradosso TikTok: diritti digitali europei alla prova del “ban”

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Il ban temporaneo di TikTok negli Usa fa emergere domande e contraddizioni in merito ai nostri diritti digitali e alle leggi emanate per tutelarli. Che succede, insomma, quando un social muore? L’interoperabilità dei dati prevista dal Gdpr e il conseguente trasferimento dei nostri profili su altri social come Instagram o Facebook, non avrebbero come conseguenza quella di rafforzare il controllo di questi competitor sulle nostre vite, rendendolo ancora più pervasivo? E che fine farebbero, poi, i like e le interazioni che costituiscono il “valore” dell’account?

Ecco, proviamo a fare chiarezza.

I reali effetti del temporaneo ban di TikTok negli Stati Uniti

Le cause sono note, le conseguenze meno: a distanza di giorni noi non sappiamo ancora quali siano stati i reali effetti del temporaneo ban di TikTok negli Stati Uniti per gli oltre 170 milioni di utenti del social media di proprietà della società cinese ByteDance. Le persone “bannate” hanno cambiato idea in merito alla sicurezza di TikTok? Torneranno a utilizzarlo come prima, o più di prima? Hanno cercato in massa di rimuovere i propri contenuti e dati personali prima della disattivazione temporanea? Lo spegnimento di un’applicazione così diffusa porta con sé un carico di aspettative, timori e paure che raramente vengono indagati a fondo, pur se questi potrebbero avere effetti profondi nella società e nella cultura di massa.

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Il contesto politico e normativo

Nel contesto degli Stati Uniti, la “sovranità digitale” si sta affermando come uno dei pilastri della geopolitica e della tutela della sicurezza nazionale, con il rischio sempre più tangibile di sacrificare diritti individuali come l’accesso alle piattaforme digitali e la stessa libertà di espressione tutelata dal Primo Emendamento della Costituzione statunitense. Ed è per questo motivo che è necessario riflettere e chiederci se questa compressione americana possa riguardare allo stesso modo anche noi europei.

Ebbene, nell’Unione Europea le libertà individuali trovano una protezione più stringente all’interno di un quadro normativo articolato – dal GDPR al Digital Services Act (DSA) e al Digital Markets Act (DMA) – che mira a prevenire e contenere le condotte illecite in maniera proporzionale attraverso una serie di responsabilità in capo alle grandi piattaforme digitali, soprattutto di tipo preventivo. In questo senso l’approccio europeo, diversamente da quello statunitense, insiste sul rispetto di regole chiare e mira a sanzionare le inadempienze, senza attendere il verificarsi di danni concreti e, quindi, di dover adottare (in risposta) misure “estreme” come, ad esempio, il ban totale di TikTok in USA.

In altri termini, in Europa il blocco totale di una piattaforma – pur essendo formalmente possibile in caso di violazioni particolarmente gravi (come l’utilizzo dei dati per finalità elettorali di tipo strumentale) – è uno strumento di extrema ratio. In caso di accertate violazioni, verrebbero innanzitutto comminate sanzioni proporzionate alla gravità della condotta e, se necessario, imposte misure correttive. La sfida, in definitiva, è quella di assicurare che, nel contesto di questa nuova era digitale, i diritti fondamentali continuino a fungere da àncora per le democrazie liberali.

Quando un social muore: dalla ricerca di alternative al salvataggio dei dati personali

In questo contesto, resta inevasa una domanda oggi più che mai all’ordine del giorno: che cosa succede, esattamente, quando un social media “muore”? Noi europei lo abbiamo sperimentato su scala minore – basti pensare alla chiusura di Google Plus dopo anni di alti e bassi – e con ogni probabilità ci troveremmo impreparati ad abbandonare, insieme a TikTok, una quantità cospicua di contenuti, account, memorie digitali. Se la base utenti di TikTok in Europa è simile a quella degli Stati Uniti, il combinato disposto delle leggi esistenti potrebbe dare luogo a esiti diversi. Vogliamo approfondire questo aspetto sia perché il ban di TikTok rimane allo stato attuale un’ipotesi più che concreta, sia perché ci interessa analizzare in che modo le leggi pensate per migliorare la vita digitale delle persone possono avere delle conseguenze concrete e vantaggi misurabili in uno scenario di forte discontinuità.

I rischi di un ban “incompleto” e i limiti nel recupero dei dati personali

Eliminare TikTok non è un’operazione indolore e immediata, come le vicende americane stanno insegnando. Negli Stati Uniti, infatti, TikTok non è stata tuttora ripristinata sugli store di Apple e Google, lasciando gli utenti in balia di di mancati aggiornamenti e bug che potrebbero aggravarsi nel corso del tempo. Un’eliminazione incompleta, quindi, potrebbe rivelarsi paradossalmente più pericolosa di un ban definitivo. Al tempo stesso, non è chiaro se e in che misura la rimozione dagli store di Apple e Google potrebbe estendersi a quegli store “alternativi” che, secondo il Digital Markets Act, dovrebbero offrire agli utenti europei maggiori possibilità di utilizzare applicazioni al di fuori dei “walled garden” di Big Tech: quante volte TikTok può morire, e quante volte rinascere sotto forma di app “alternativa”?

Le possibili criticità di ordine tecnico e legale non finiscono certo qui. In caso di chiusura del servizio è lecito aspettarsi che qualche decina di milioni di utenti potrebbe richiedere a TikTok di ricevere una copia dei propri dati personali ai sensi del GDPR. Richieste che, al momento, possono essere inoltrate con la app installata e un account attivo, e che vengono processate in tempi non immediati. Se è vero che TikTok offre un modulo per inoltrare una richiesta di informazioni in merito ai propri dati anche sul sito, nondimeno una grande quantità di richieste di accesso nello stesso tempo potrebbe rivelarsi pressoché impossibile da gestire, oppure portare a ritardi prolungati nell’esercizio di un diritto così fondamentale.

Il rischio insito nella portabilità dei dati e i limiti dell’interoperabilità tra piattaforme

In caso di blocco totale di TikTok in UE, gli utenti avrebbero inoltre diritto a richiedere – secondo quanto previsto dall’articolo 20 del GDPR – una copia dei propri dati personali in un formato strutturato, di uso comune, leggibile da dispositivi automatici, al fine di renderli trasferibili su un altro sistema o fornitore. Questo diritto si applicherebbe sia ai dati forniti direttamente dall’utente (ad esempio, nome, email, preferenze), sia a quelli generati dalla sua attività sulla piattaforma (ad esempio, cronologia delle visualizzazioni e interazioni).TikTok sarebbe così tenuta a mettere a disposizione i dati in un formato adeguato ed entro un mese dalla richiesta, prorogabile di altri due mesi in casi particolari.

Esercitare il diritto alla portabilità potrebbe, paradossalmente, portare gli utenti a condividere i dati del proprio account TikTok con altre aziende hi-tech altrettanto, se non più, pervasive: condividere i dati di TikTok con Instagram di Meta fornirebbe a quest’ultima ancora più informazioni rispetto a quelle già in suo possesso, con vantaggi certi per un social concorrente di TikTok e dubbie conseguenze per gli utenti stessi.

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Un diritto che dovrebbe garantire alle persone una minore dipendenza da un singolo fornitore di servizi digitali potrebbe rivelarsi, in un caso come quello ipotizzato, uno strumento per diventare ancora più sorvegliati da un fornitore analogo, perdendo nel trasferimento tutte quelle informazioni di contesto – like, commenti, follower – che determinano il “valore” di un account.

Attualmente, infatti, il Digital Markets Act (DMA) non prevede l’interoperabilità per i contenuti social, come post, commenti o follower, ma disciplina esclusivamente i servizi di messaggistica. Ebbene, la mancanza di interoperabilità ai contenuti social implica che il valore digitale di un account – come follower, interazioni o commenti – rimanga relegato su una singola piattaforma. In caso di “morte” di un social media, questi asset digitali non possono essere trasferiti o, quindi, funzionalmente adattati ad un altro ecosistema. Al più possono essere scaricati i contenuti nella prospettiva di una loro “portabilità”.

Il valore degli asset digitali e le conseguenze di un “esproprio” non regolamentato

Partiamo, infatti, dal presupposto che i contenuti non ci appartengono realmente, nonostante l’apparenza. Le condizioni generali di TikTok, ad esempio, chiariscono che, pur mantenendo la titolarità dei diritti intellettuali sui contenuti caricati, gli utenti concedono al social una licenza globale, non esclusiva e trasferibile per utilizzarli, distribuirli e modificarli. La disponibilità e la gestione di questi contenuti dipendono integralmente dalla piattaforma – oltre che da eventuali provvedimenti di extrema ratio delle autorità – che può limitarne l’accesso, il download o persino rimuoverli. Ciò evidenzia i limiti pratici della portabilità e della tutela dei diritti digitali degli utenti.
Il ban di TikTok si scontra, quindi, con un diritto che non ha ancora trovato accoglienza nel corpus di leggi e regolamenti esistenti, ma che comincia a essere riconosciuto da alcune sentenze che hanno valutato i profili social “ingiustamente” bannati come un asset dotato di valore economico o, quantomeno, affettivo. B

annare TikTok in Europa, per ragioni di sicurezza o di altro tipo, significa sottrarre a milioni di persone un asset digitale che per alcuni rappresenta “solo” uno strumento di intrattenimento, per altri una vera e propria “casa” virtuale in cui accumulare follower, contenuti, visibilità, reputazione e opportunità di lavoro, di commercio, di rilevanza politica e sociale. La tutela degli asset digitali nei social media è tutto fuorché un diritto inalienabile, ma nondimeno l’esproprio forzato da parte delle autorità rappresenterebbe un danno non facilmente calcolabile per moltissime persone, nell’impossibilità di trasferire il medesimo valore a un altro social media.

Se quindi il diritto alla portabilità si configura come uno strumento fondamentale per la tutela della sovranità digitale degli utenti, i limiti tecnici e normativi attuali ne compromettono l’efficacia pratica. Senza interoperabilità e senza il riconoscimento del valore sociale degli account – come follower e commenti – l’applicazione concreta di questo diritto risulta incompleta. Questo lascia gli asset digitali degli utenti in una condizione di vulnerabilità, soprattutto in scenari di discontinuità, come il ban di una piattaforma.

Bannare TikTok o bannare app e servizi cinesi tout court? Dove si colloca il limite?

Resta, come nel caso americano, la domanda in merito all’efficacia degli impianti sanzionatori e agli strumenti di deterrenza attualmente in vigore per proteggere i cittadini europei da reati commessi tramite una piattaforma di social media. Nel momento in cui dovesse essere dimostrata la condivisione dei dati con il governo cinese, o quantomeno la possibilità di un accesso indiscriminato da parte di quest’ultimo per fini di sorveglianza di massa e/o propaganda politica, rimane il dubbio che le sanzioni previste dai regolamenti possano rivelarsi a conti fatti inadeguate, se comminate a un’azienda che può contare sul supporto finanziario illimitato di uno Stato alle sue spalle. È sufficiente multare o azzerare TikTok e i suoi simili per prevenire il rischio che social di provenienza e obiettivi analoghi possano in futuro raggiungere il medesimo grado di influenza? Dalla risposta a questa domanda passa buona parte del rispetto di quei diritti digitali che l’Unione Europea dichiara ogni giorno di voler difendere, e che ben pochi si preoccupano di far rispettare.





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