Dimissioni e cambio ai vertici della Fondazione Agrigento 2025

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Si è dimesso all’improvviso, la sera del 25 gennaio, con una lettera diffusa su varie testate online e poi sul suo profilo Facebook: un gesto forte, quello di Giacomo Minio, docente di Economia applicata ai Beni culturali all’Università di Palermo, ormai ex presidente della Fondazione Agrigento 2025. L’ente, tecnicamente operativo solo dallo scorso 18 gennaio, nasce con il fine di attuare il programma di Agrigento Capitale della Cultura, nonché di renderlo durevole e sostenibile, e in sintesi, attraverso l’organizzazione e la promozione di “iniziative nel settore dello Spettacolo, dell’Educazione, del Turismo e della Cultura intesa in tutte le sue espressioni”, perseguirà il miglioramento dell’offerta culturale e il superamento del cultural divide, il rafforzamento dell’inclusione sociale e della partecipazione pubblica, il potenziamento delle nuove tecnologie e il coinvolgimento dei giovani, lo sviluppo dell’innovazione dell’imprenditorialità nei settori culturali e creativi, il raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Giacomo Minio, ex Presidente della Fondazione Agrigento 2025

Chi è il nuovo presidente della Fondazione Agrigento 2025

L’anno cruciale di Agrigento, dunque, iniziato con un odioso carico di polemiche riguardo a tempi, modi e falle dell’organizzazione, prosegue nel segno del chiacchiericcio e degli scoop. Dopo alcuni giorni di suspense, arriva il nome di chi – con ogni probabilità – guiderà la fondazione di qui in avanti. Si tratta di Maria Teresa Cucinotta, da sempre al servizio di importanti uffici pubblici in Sicilia e non solo: Prefetto di Palermo fino al 2023, anno in cui va in pensione, vanta una lunga lista di incarichi di responsabilità, tra cui quello di vice prefetto di Siracusa e di Palermo, e poi di Prefetto a Caltanissetta, Lecce, Catanzaro.
Nella serata di lunedì 27 viene invitata a ricoprire il ruolo di presidente all’interno del CdA della Fondazione Agrigento 2025 – invito subito accettato – dall’Empedocle Consorzio Universitario Agrigento (ECUA), socio fondatore, che a suo tempo aveva nominato Minio e a cui quindi spettava la proposta di un sostituto. Gli altri soci avevano nominato i propri consiglieri, tuttora in carica: cinque per il Comune di Agrigento, uno per il Comune di Lampedusa e Linosa, uno per la Regione siciliana. Adesso – come da statuto – si attende solo la votazione collegiale per la ratifica della proposta avanzata dall’ECUA. Una pura formalità, il cui il risultato è praticamente scontato.

Maria Teresa Cucinotta, nuovo Presidente della Fondazione Agrigento 2025
Maria Teresa Cucinotta, nuovo Presidente della Fondazione Agrigento 2025

Le dimissioni dell’ex presidente della Fondazione Agrigento 2025

Ma cosa ha causato il passo indietro di Minio? Alla domanda il diretto interessato non ha risposto, a eccezione di quell’unica, simbolica frase, inserita nella lettera del 25 gennaio: “Lascio la Fondazione, anzitempo, su richiesta del Sindaco Dott. Miccichè, per favorire un avvicendamento squisitamente politico”. Stilettata al veleno, scagliata contro anonime, inaggirabili ingerenze. Le solite mani della politica sulla cultura? Un’ombra più volte evocata nel caso di Agrigento Capitale, certamente vista e verificata di continuo, in Sicilia, tra giochi di palazzo, promesse elettorali, nomine di governo e di sottogoverno, gestione di budget ordinari e straordinari. Malcostume italiano, che qui tocca spesso livelli importanti, mischiandosi con approssimazione, sciatteria, assenza di visione.
E se invece questo cambio ai vertici fosse una misura messa in atto per arginare inefficienze e disequilibri, provando a spingere sull’acceleratore? Cosa volesse dire Minio non è chiaro, ma è praticamente certo che l’iniziativa non sia stata del Sindaco, limitatosi ad attuare un “suggerimento” piuttosto deciso. La scelta di operare un cambio ai vertici sarebbe stata del presidente della Regione Renato Schifani, l’uomo che ha più potere (economico, innanzitutto) sulla grande macchina di Agrigento Capitale, che ha supervisionato l’assegnazione delle risorse e che sta cercando ultimamente di tenere saldo il timone. Si tratterebbe dunque del famoso, supposto “commissariamento”, con la Cucinotta scelta in quanto occhio vigile e fidato controllore, vicino al Presidente.

Ma ha ragione Minio quando sottolinea, ancora nella sua lettera, che “esulano dagli scopi della Fondazione le manutenzioni del territorio, dei siti e la sua infrastrutturazione a vari livelli (cartellonistica, reti stradali ed altro). Le attività della Fondazione partono ufficialmente dal 18 gennaio di quest’anno, data della inaugurazione di Agrigento capitale della cultura avvenuto presso il teatro Pirandello alla presenza del Capo dello Stato professor Mattarella ed i cui progetti artistici saranno realizzati e spesati nel corso del 2025”. Cosa c’entra dunque la Fondazione con i vari pasticci sui lavori in corso, i disservizi, i cantieri mai partiti, i tetti che perdono, il degrado del centro storico? Minio è stato forse il capro espiatorio di un’operazione di facciata, che non porterà a nessuna svolta significativa? E anche a voler ipotizzare la necessità di un cambio di passo, perché non azzerare il CdA? Il presidente della Fondazione, secondo norme, è chiamato unicamente a convocare e presiedere il CdA, ad assistere alle riunioni del comitato tecnico-scientifico, a far rispettare lo statuto e a vigilare sull’esecuzione delle deliberazioni del CdA stesso, adottando anche provvedimenti d’urgenza. Una figura di garanzia, mentre è al Direttore generale – individuato in Roberto Albergoni – che spettano la gestione organizzativa e amministrativa della Fondazione, la stesura dei bilanci e la responsabilità del personale dipendente.

Uno scorcio della città vecchia di Agrigento
Agrigento, uno scorcio della città vecchia

Agrigento Capitale della Cultura e i tanti problemi da affrontare

In ogni caso, a preoccupare davvero il presidente Schifani non è certo il lavoro della neonata Fondazione, a cui si possono imputare ritardi nella comunicazione, nella propria stessa costituzione, nell’apertura di una sede e nell’assegnazione di incarichi fondamentali, e ancora la poca capacità di coinvolgere il territorio e un programma condito da alcune buone iniziative originali, ma anche pieno di contenuti riciclati o già previsti, segnato da diverse incertezze – su tutte quelle per l’Efebo d’Oro e il Convegno di Studi Pirandelliani – e privo di vere eccellenze internazionali. Tutte cose che non sono però il cuore della polemica odierna.
Il grande problema di Agrigento, oggi, è un altro, e si chiama degrado, assenza di progetti di rigenerazione urbana e di grandi cantieri: dalla scarsezza d’acqua – che ha radici antiche nella mala gestione pubblica e nella prepotenza mafiosa, e che oggi paga anche lo scotto dell’emergenza climatica – alla poca attenzione per l’ambiente e il verde pubblico; dal grave problema dei rifiuti, al manto stradale disastrato; dalla mobilità urbana carente, all’assenza di info point turistici, bagni pubblici, aree di sosta; e poi i vecchi edifici del centro storico in attesa di essere salvati dal crollo, i musei e i palazzi di pregio in perpetua fase di restauro e riallestimento (come il costituendo Museo della Città presso l’ex Convento dei Filippini, il vecchio museo di piazza Pirandello, chiuso da quasi mezzo secolo, o l’ex Monastero e Carcere di San Vito), fino alle ville comunali da recuperare e far rifiorire, su tutte il Parco dell’Addolorata, con il suo anfiteatro, che tra rifiuti e sterpaglie versa in stato di abbandono, o l’ex polmone verde di Villa del Sole, oggi un cantiere al centro di varie controversie per una frettolosa concessione edilizia, un devastante disboscamento e la mancata piantumazione di nuove essenze richiesta dalla Soprintendenza.
Tutti problemi di cui il Primo cittadino è più che consapevole, come spesso ha ripetuto, sottolineando l’importanza della pesante” sfida raccolta e del bisogno di costruire una città più “europea”: “Agrigento è capitale della cultura da sempre”, ha detto durante la cerimonia per il passaggio del testimone a Pesaro, “con i suoi 2.500 anni di storia. Però è carente nei servizi urbani, nel decoro e nel verde pubblico. Per questo lavoreremo per lasciare questo alla città, affinché l’anno da capitale possa dare qualcosa di duraturo alla nostra comunità”.

Villa del Sole, Agrigento
Villa del Sole, Agrigento

Gli investimenti per Agrigento Capitale della Cultura

Eppure, fin qui, al netto dei buoni propositi, tanti soldi sono andati persi (gli oltre 49 milioni di fondi Po-Fesr destinati al potenziamento della rete idrica cittadina e andati perduti per la mancata realizzazione entro il termine del 31.12.2023, sono l’emblema di un’anomalia diffusa tre le amministrazioni siciliane: cifre incalcolabili, negli anni, sono tornate all’Europa e allo Stato, per l’incapacità di intercettare risorse, di compilare bandi e di attuare correttamente i progetti); ma soprattutto tanto tempo si è sprecato, ritrovandosi con un cumulo di rogne da risolvere alla velocità della luce.
Il titolo di Capitale della Cultura 2025, assegnato a marzo 2023, avrebbe consentito di avviare e concludere, grazie a un’oculata gestione, alcuni tra i tantissimi interventi utili alla città e ai territori limitrofi. E invece si arriva trafelati, con gli assessori regionali e comunali di ramo e il Capo della Protezione civile convocati in Prefettura dal Presidente della Regione, lo scorso 17 gennaio, un giorno prima dell’inaugurazione solenne con Mattarella e Giuli. Tema: organizzazione, sicurezza e interventi straordinari, a poche ore dall’evento. “Abbiamo ascoltato le problematiche territoriali”, dichiarò Schifani al termine della riunione, “alcune le abbiamo risolte ieri, finanziando alcune strade che sono state realizzate addirittura di notte, con 500.000 euro”. Una corsa folle, che ha portato al caso tristemente noto dei tombini asfaltati per sbaglio e delle buche subito riapertesi, per via di lavori eseguiti male e di fretta.
Un altro tavolo operativo è stato convocato il 20 gennaio. Molti gli argomenti affrontati, come si legge in una nota sul sito della Regione: “La risoluzione dei problemi di approvvigionamento idrico delle strutture ricettive del centro storico, la sistemazione e la realizzazione di aree parcheggio e l’organizzazione di un servizio navette, la manutenzione della viabilità e dell’illuminazione stradale, la bonifica di micro discariche presenti in aree pubbliche, la pulizia e la discerbazione del ciglio delle strade, la realizzazione di un sistema di bagni pubblici e la sistemazione del verde e dell’arredo urbano, comprese l’installazione di alcune pensiline”. Si lavora insomma per fare fronte a tutto ciò che negli anni precedenti, e nell’ultimo anno e mezzo soprattutto, non si è stati in grado di realizzare, a volte nemmeno di preventivare.

Intanto la Regione siciliana ha investito per Agrigento Capitale quattro milioni solo nel 2024, mostrando piena e totale volontà di sfruttare la preziosa occasione offerta dal Mibact. Altri tre milioni arriveranno per il 2025. Tutti fondi destinati ad attività culturali e turistiche, ma con un’ultima voce che contempla anche spese per la “manutenzione ordinaria, pulizia e riparazione degli ambienti e dei luoghi da utilizzare per gli eventi, comprese le aree di accoglienza, sosta, percorsi e servizi al pubblico”. Si poteva cioè attingere da quelle stesse cifre per risolvere alcune piccole questioni, tra le tante macroscopiche, relative ai servizi e alle condizioni generali dei siti. Senza contare le tante risorse (regionali, nazionali, europee) che in questi anni si sarebbero dovute programmare ed investire. A mancare evidentemente sono state le progettualità, l’interlocuzione proficua tra le amministrazioni, la capacità (a partire dal Comune) di individuare per tempo i problemi, di richiedere le somme necessarie, di metterle a frutto. 
Vengono nel mentre monitorati i progetti finanziati con il PNRR, che versano in forte ritardo su tutto il territorio nazionale, dal punto di vista della spesa sostenuta e della rendicontazione: 31 sono al momento quelli attuati direttamente dal Comune di Agrigento (tra misure per la raccolta differenziata, per l’housing sociale, per la riqualificazione del Quartiere Santa Croce, per le strutture scolastiche, per il potenziamento dei servizi digitali), a cui si aggiungono quelli in carico ad altri soggetti attuatori e quelli destinati alla provincia. Quasi tutti fermi o in fase iniziale, con la prossima scadenza fissata al secondo trimestre del 2026.

Il Parco dell'Addolorata di Agrigento
Il Parco dell’Addolorata di Agrigento

Agrigento e il suo anno dei miracoli

La verità è una: la conquista della corona di Città italiana della Cultura non può essere intesa come un atto prodigioso, una miracolosa investitura capace di ribaltare lo status quo e di trasformare in principe il ranocchio. Non può accadere in nessun caso, non là dove la cattiva gestione è eredità ingombrante, frutto di decenni di nodi irrisolti, di abitudini insane, di meccanismi arrugginiti e innovazioni assenti. Dove persino la buona volontà di pochi singoli – che sia un sindaco, un assessore, un dirigente generale, un direttore, un consigliere, un mecenate – non è sufficiente, non è dirimente. Si tratta di sistemi complessi e radicati, consumati dalla fallacia di burocrazie ostative, dalla fatica di organici ridotti all’osso, dallo strazio di lungaggini epiche, dal prevalere dell’interesse personale, dal sacrificio del merito e delle competenze, dall’inadeguatezza di figure amministrative e politiche sempre meno qualificate. Sistemi che non possono essere salvati con un’intitolazione onorifica, seppur accompagnata da programmi dettagliati e da elargizioni finanziarie generose.
Servono operazioni radicali di riforma, a cominciare dai metodi da rivedere, dalle professionalità (vecchie e nuove) da cooptare, dall’innovazione tecnologica e dalle modalità di gestione che devono ispirarsi a casi virtuosi, nazionali e internazionali. Essere Capitale della Cultura per un anno è un’occasione, sì, ma che va vissuta nei termini di un’ulteriore spinta propulsiva: un’iniezione ricostituente, non certo una pozione magica. Il 2025 non sarà, per Agrigento, l’anno dei miracoli. Inutile raccontarsi storie. E se i miracoli non esistono, se le rivoluzioni sono rare, i cambiamenti sono invece possibili, ma necessitano di percorsi di edificazione lunghi e razionali. Dietro l’anno della cultura ci sono, o dovrebbero esserci, anni di impegni presi, di antenne drizzate, di officine aperte e trasparenti, di speranze coltivate e tramutate in lavoro, in studio, in esercizio della volontà.

Il rischio oggi è quello di produrre uno stridore aspro tra la girandola di eventi, mostre, concerti, iniziative culturali e un contesto inaridito, logorato, scandito da disservizi, abbandoni, carenze. Un contesto che può respingere il turista come il residente, mentre si promuove l’idea romantica di una cultura che abbraccia, come recita la (mediocre) campagna di comunicazione di Agrigento 2025, progettata tra Natale e Santo Stefano. E a determinare un cambio repentino di rotta non saranno le dimissioni dell’unica figura, tra i membri del CdA della Fondazione Agrigento 2025, che aveva competenze in materia di economia dell’arte e della cultura.
Il presidente Schifani in questa partita si gioca tanto (denari, ma soprattutto prestigio) e la sua preoccupazione è evidente. Nell’auspicata intesa tra la presidenza e gli organi dell’amministrazione regionale da un lato, il sindaco di Agrigento e l’amministrazione comunale dall’altro, insieme all’importante collaborazione della Fondazione, è in ballo quel poco che si potrà e si dovrà salvare, nel più breve tempo possibile, per offrire alla città un minimo di respiro ed efficienza nel suo anno teoricamente migliore. Perché separare il discorso culturale da quello civico, l’arte e la conoscenza dal corpo vivo e vivificato della città e del paesaggio, vuole dire non comprendere il significato profondo di espressioni cruciali come quella di “spazio pubblico”, che nel riverbero tra estetica e politica rimette continuamente in gioco la questione della cittadinanza consapevole, della collettività, della persona e del suo rapporto con l’altro. Un processo sfidante, in cui l’arte non è mai ornamento e la cura dei luoghi non è rammendo dell’ultim’ora o pennellata sbiadita su un muro pieno di crepe, di cui non raccoglieremo – distratti – le ennesime macerie.

Helga Marsala

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