Perché la Procura ha indagato Meloni. La linea dei pm: scelta obbligata

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di
Giovanni Bianconi

Le indagini chieste dalla denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti

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Che il fascicolo aperto dalla Procura di Roma non sfocerà in alcun processo è pressoché certo, visto che un eventuale processo dovrebbe essere autorizzato dal Parlamento dove il governo ha una solida maggioranza. Ma è altrettanto certo che il procuratore Francesco Lo Voi non potesse fare altrimenti di fronte alla denuncia ricevuta. Secondo la sua interpretazione della legge, poteva solo iscrivere le persone segnalate sul registro degli indagati e inviare il procedimento n. 3924 del 2025 al tribunale dei ministri. «Omessa ogni indagine», dice la norma, che per il procuratore vuol dire divieto di acquisire atti a sostegno dell’istanza o della sua infondatezza.

Nell’incartamento, a parte la lettera di trasmissione, c’è solo l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, con l’indicazione dei reati ipotizzati: favoreggiamento personale (nei confronti del generale libico Najeen Osama Almasri) e peculato (per l’uso dell’aero di Stato utilizzato per rimpatriarlo). Addebitati al capo del governo e ai ministri della Giustizia e dell’Interno che avrebbero deciso la scarcerazione e la riconsegna alla Libia, e per il sottosegretario con delega ai servizi segreti relativamente al mezzo di trasporto.




















































«Si allega all’uopo il resoconto giornalistico sui fatti», aveva scritto il legale, inserendo qualche articolo di giornale. Al Tribunale dei ministri non è arrivato altro. Nemmeno l’ordinanza della corte d’appello di Roma dalla quale si desume che il ministro della Giustizia, informato dalla Digos di Torino il 19 gennaio subito dopo l’arresto del libico ricercato dalla Corte penale internazionale, e l’indomani dalla Procura generale di Roma, non ha fatto nulla per trattenere Almasri in galera in vista della consegna alla Cpi.

Il procuratore non l’ha acquisita perché a suo giudizio sarebbe stato un atto formale finalizzato all’indagine, che invece spetta al collegio delegato a giudicare sui reati ministeriali. Così come la verifica delle comunicazioni tra l’ambasciata italiana all’Aia, dove ha sede la Corte internazionale, e il governo di Roma dopo la trasmissione del mandato d’arresto per Almasri alla rappresentanza diplomatica. Difficile, senza questi elementi, decidere per l’infondatezza della denuncia di Li Gotti, avvocato di fama ed esperienza, dal corposo passato nelle file del Movimento sociale italiano e Alleanza nazionale prima di approdare, negli anni Duemila, all’Italia dei valori di Di Piero; legale dei familiari delle forze dell’ordine uccisi negli «anni di piombo» (da Luigi Calabresi ai carabinieri trucidati in via Fani) prima di numerosi pentiti di mafia. Nulla che abbia a che fare con la sinistra politica, al pari del procuratore Lo Voi, già rappresentante al Csm di Magistratura indipendente, la corrente più a destra. Che ha innescato i processi Open Arms e Diciotti contro Matteo Salvini, sui quali però si sono pronunciati (prima dell’assoluzione per Open Arms del diniego del Senato per Diciotti) un’altra decina di giudici tra Tribunali dei ministri e udienze preliminari, a sostegno della sua stessa tesi.

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In questa storia, insomma, non ci sono «toghe rosse». Mentre c’è un conflitto tra il governo italiano e la Corte dell’Aia, dopo la scarcerazione di Almasri decisa dalla corte d’appello a fronte della «prodromica e irrinunciabile interlocuzione tra il ministro della Giustizia e la Procura generale», che ha inutilmente interpellato il Guardasigilli. Di qui la decisione politica, attribuita al governo, di non voler consegnare il generale libico accusato di torture, stupri e crimini di guerra dalla Cpi, che nella denuncia dell’avvocato Li Gotti si è tramutato in favoreggiamento del ricercato.

Anche nelle leggi che hanno recepito l’adesione dell’Italia alla Corte internazionale la cooperazione giudiziaria con i giudici dell’Aia assomiglia a un atto dovuto; per esempio laddove l’articolo 59 dello Statuto di Roma prevede che «lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione».

Per questo per il ministro Nordio c’era anche la possibilità di ipotizzare l’omissione d’atti d’ufficio, non menzionata però dall’avvocato Li Gotti nella sua denuncia. Chiedendo invece «che vengano svolte indagini sulle decisioni favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia». Compito spettante al Tribunale dei ministri. Ferma restando l’insindacabilità dell’atto politico, che si può intravedere dietro il silenzio-diniego del ministro sull’arresto di Almasri. Tuttavia Nordio non l’ha rivendicato come tale, e dunque anche questa eventualità dovrà essere oggetto d’indagine. Preclusa alla Procura di Roma, sempre secondo la lettera della legge sui reati ministeriali.

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L’altra quasi-certezza di questa vicenda è che contribuirà ad alimentare la tensione tra l’ufficio guidato dal procuratore Lo Voi e il governo. Tanto più dopo che accertamenti dell’Aisi (l’Agenzia per la sicurezza interna) sul capo di gabinetto della premier Gaetano Caputi che dovevano rimanere segreti, sono finiti in un fascicolo d’indagine destinato alle parti in causa, e dunque a divenire pubblici. Un esito non gradito a Palazzo Chigi. Come la comunicazione recapitata ieri.

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29 gennaio 2025 ( modifica il 29 gennaio 2025 | 08:02)

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