Apple Watch, scocca l’ora di una class action contro i cinturini dell’orologio intelligente?

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Intentata negli Usa la prima causa collettiva a tutela dei consumatori di determinate marche di smart watch, tra cui Apple, per la possibile presenza di Pfas nei cinturini. Cosa dice lo studio e cosa replica Cupertino

Uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters dell’American Chemical Society rischia di terremotare l’intero settore degli smart watch o, quanto meno, tutti quei marchi che rivolgendosi a cinturini in silicone, conterrebbero al loro interno quantità elevate di acido perfluoroesanoico (PFHxA), catalogato come sostanza chimica eterna. La prima conseguenza di tale report è una class action che i consumatori hanno depositato in California contro Apple, già alle prese con un 2025 finanziariamente tutto in salita. Ma bisogna procedere per gradi.

COSA DICE LO STUDIO

Nel report, che ha analizzato alcuni degli smart watch più diffusi sul mercato (ricomprendendo dunque una pluralità di marche differenti, ben 10), si arriva alla conclusione che “I cinturini contengono fluoroelastomeri, gomme sintetiche realizzate con catene di Pfas, per creare un materiale che evita lo scolorimento e respinge lo sporco. Sebbene questa durevolezza renda i cinturini ideali per gli allenamenti, c’è il rischio che una parte di questi composti penetri sotto la pelle di chi li indossa”.

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Tra quelli testati – si legge nell’abstract – i cinturini “che costavano più di 30 dollari contenevano più fluoro di quelli sotto i 15 dollari”, a indicare come questa volta non esista una correlazione tra il prodotto di qualità inferiore e la possibile presenza di sostanze potenzialmente pericolose.

I TEST CONDOTTI

“Successivamente, dopo un’estrazione chimica, tutti i cinturini sono stati controllati per 20 diversi Pfas. Il Pfhxa è risultato essere il più comune, presente in nove dei 22 smartwatch testati. La concentrazione mediana di Pfhxa è risultata essere di quasi 800 parti per miliardo (ppb) e un campione ha superato le 16.000 ppb”.

Nel report viene spiegato che “una precedente ricerca del team nel 2023 sui cosmetici ha rilevato una concentrazione media di circa 200 ppb di Pfas. Attualmente, solo sei Pfas hanno limiti di esposizione definiti a livello federale per l’acqua potabile negli Stati Uniti; i limiti di esposizione per altri Pfas e altre vie di esposizione sono ancora in fase di studio”.

UNA COMMERCIALIZZAZIONE PIU’ DIFFICILE IN UE?

Lo studio non specifica quali modelli o marchi di cinturini siano interessati ma ha confermato che tra quelli sottoposti al test figurano Nike, Apple, Fitbit e Google. I risultati se confermati rischierebbero di renderne la commercializzazione particolarmente difficile, specie nella Ue, considerando la guerra che Bruxelles sta muovendo nei riguardi di tali sostanze ritenute, senza troppi giri di parole “un rischio inaccettabile per la salute umana e l’ambiente“.

LA CLASS ACTION E LA REPLICA DI CUPERTINO A DIFESA DI APPLE WATCH

La class action intende rappresentare i consumatori statunitensi che hanno acquistato cinturini Sport Band, Nike Sport Band o Ocean Band per Apple Watch. Al momento, il giudice non ha ancora deciso se autorizzare il proseguimento dell’azione legale.

Cupertino dal canto suo respinge ogni addebito: “I cinturini dell’Apple Watch sono sicuri per gli utenti. Oltre ai nostri test interni, collaboriamo con laboratori indipendenti per condurre test rigorosi e analisi sui materiali utilizzati nei nostri prodotti, inclusi i cinturini dell’Apple Watch”.

Resta da capire invece il peso di un’altra dichiarazione di Apple con la quale la Big Tech ha confermato di essere impegnata nella graduale eliminazione dei Pfas, riconoscendo la complessità del processo. Dichiarazione che lascia la porta quanto meno socchiusa a nuovi interrogativi sulla presenza o meno di sostanze potenzialmente pericolose.

“Sebbene la nostra analisi abbia indicato che questi materiali sono sicuri durante l’uso del prodotto, abbiamo […] concluso che il nostro obiettivo sia limitare l’uso di tutti i composti Pfas”, comunicano da Apple sottolineando nel contempo la necessità di “garantire che le alternative non Pfas non diano luogo a sostituzioni incresciose, ovvero che le alternative siano dannose quanto, o addirittura più dannose, dei Pfas sostituiti.” Le posizioni sono insomma chiare, ora bisogna attendere che il giudice investito della questione decida anzitutto se accogliere o meno la discussione della class action che potrebbe avere una eco ben maggiore di quella nazionale.

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