Il girone dantesco degli insegnanti di sostegno che entrano in un limbo da cui sembrano non uscire mai. Con percorsi di abilitazione, formazione continua che alimenta solo le casse delle università, il mantra dei crediti formativi
Tanti, precari e anche scontenti. Potremmo chiamarlo il girone dantesco degli insegnanti di sostegno. Che entrano in un limbo da cui sembrano non uscire mai. Con percorsi di abilitazione, formazione continua che alimenta solo le casse delle università, il mantra dei crediti formativi per salire nelle graduatorie delle supplenze, dove chi ha più punti emerge rispetto a chi arranca. Ma cosa significa fare l’insegnante di sostegno oggi? Si tratta di un professionista che dovrebbe supportare i ragazzi con qualche difficoltà, aiutando loro nel percorso di inclusione. Ma la continuità didattica spesso è solo una chimera. Perché raramente queste figure riescono a seguire gli alunni per un determinato periodo di tempo.
Poca continuità didattica
Da un mese all’altro cambiano istituto, complicando anche la vita dei dirigenti scolastici che denunciano «scarsa formazione» alimentando però un sottobosco di contratti a chiamata, docenze estemporanee basate spesso su rapporti amicali, attingendo a graduatorie provinciali di difficile lettura. Appesi ad algoritmi incomprensibili, dove il sistema delle preferenze dei candidati determina un vantaggio per chi vive in regioni in cui l’offerta latita e penalizza chi invece vive in territori dove gli insegnanti sono in maggior numero. D’altronde il teorema dei punti da acquisire per non arretrare in classifica rischia di far perdere d’importanza il concetto base di questa professione: supportare ed includere, recuperare ed integrare chi vive condizioni speciali e rischia di essere emarginato.
Il numero degli insegnanti di sostegno
Un affresco interessante dell’economista Carlo Cottarelli (in collaborazione con Gianmaria Olmastroni) sull’Osservatorio Conti pubblici dell’università Cattolica di Milano racconta i numeri di questa professione. Scrivono i due autori che «gli insegnanti di sostegno in Italia sono ormai quasi un quarto del totale. L’aumento massiccio degli ultimi anni, più forte di quello degli alunni con disabilità, è stato facilitato dal fatto che il numero di posti viene determinato dalle singole regioni, derogando dalla norma che indicherebbe come standard la disponibilità di un insegnante di sostegno ogni due studenti, quindi con un rapporto di 0,5 tra numero di IdS e studenti. La media nazionale è ora di 0,7, ma con forti differenze tra regioni: ci sono molti più insegnanti di sostegno al Sud e al Centro che al Nord, con massimi nel Molise (1 per alunno) e minimi nel Veneto (0,5 per alunno). Se il numero è molto alto, la qualità scarseggia: quasi il 30% degli IdS non ha frequentato il relativo corso di specializzazione e il 59% è precario».
Crescono sempre più di numero
Gli insegnanti di sostegno, infatti, sono sempre di più. Nell’anno scolastico 2022/2023 erano 217.796, il 23% del totale dei docenti, con un aumento del 163% rispetto al 2003/2004 e una particolare accelerazione dopo il 2016/2017. Gli studenti con disabilità sono passati da 216.452 nel 2015/2016 a 312.235 nel 2022/2023, ma l’incremento è stato maggiore: il rapporto tra insegnanti e alunni con disabilità è aumentato da 0,59 nel 2016/2017 a 0,70 nel 2022/2023. Non bisogna essere Cassandra, dunque, per prevedere l’esodo di docenti di sostegno verso l’ambizione di una vita: poter insegnare quello per cui si è studiato. Non sarà per tutti così, naturalmente. Ma sicuramente la tentazione di prendere l’abilitazione facilitata con il nuovo sistema di 30 crediti (Cfu), introdotto dalle norme ministeriali nel 2024, sta attraendo tutti coloro che avevano puntato sul sostegno per entrare di ruolo.
La selezione darwiniana
Ma cosa sta accadendo? Una selezione darwiniana, probabilmente: rimarranno sul sostegno i docenti che ci credono veramente a beneficio di alunne e alunni con disabilità, e tutti gli altri, pur specializzati con formazione mirata, potranno coronare il sogno di una vita: insegnare la propria materia. Una scelta con effetti potenzialmente devastanti, ancora una volta, per i ragazzi e le ragazze più deboli, che dovranno accontentarsi di insegnanti non abilitati e non specializzati. Anche perché il precariato insiste pesantemente su questa figura (grafico in alto). Nel 2022/2023 il 59% degli insegnanti di sostegno aveva contratti a tempo determinato, contro il 14,5% degli insegnanti di posto comune. Dal 2017 al 2023 l’aumento è dipeso interamente dai contratti a tempo determinato. Scrivono Cottarelli e Olmastroni che «questa precarietà incide sulla rotazione: nel 2022/2023 il 59% degli alunni con disabilità ha cambiato insegnanti rispetto all’anno precedente. Questa discontinuità danneggia il rapporto con gli studenti, che è più personale rispetto a quello con gli altri insegnanti».
La precarizzazione su base geografica
La precarietà è più marcata al Nord, dove il 70% degli insegnati è precario, contro il 62% al Centro e il 47% al Sud. La conseguenza è che la già evidenziata disparità nel numero di insegnanti per alunno è più forte se si considerano quelli ruolo per alunno: al Nord sono 0,18, al Centro 0,28 e al Sud 0,39.
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