‘Hamas e Jihad islamica liberano Arbel Yehud venerdì’, 24 ore prima del terzo round – Medio Oriente

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Una ‘importante’ fonte ha riferito a Sky News Arabia che “Hamas e la Jihad islamica hanno concordato di rilasciare Arbel Yehud 24 ore prima del terzo round di sabato prossimo”. Secondo la fonte, “Arbel sarà rilasciata in cambio della liberazione di 30 palestinesi condannati all’ergastolo e dell’apertura del corridoio Netzarim”. Di questa nuova richiesta sono stati informati i mediatori. 

 

Gli operatori umanitari di Gaza affermano che Israele impedisce a decine di migliaia di sfollati palestinesi di tornare al Nord della Striscia. L’accordo siglato a Doha tra Hamas e Israele prevede il ritiro dell’Idf da una parte del Corridoio Netzarim, ma proprio il mancato rilascio dell’ostaggio civile Arbel Yehud ha bloccato la possibilità per gli sfollati di tornare nord. Inoltre, Hamas non ha fornito l’elenco degli ostaggi che dovrebbero essere liberati in questa fase del cessate il fuoco e che sono ancora vivi.

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La presidenza palestinese respinge con fermezza e condanna qualsiasi piano o progetto volto a sfollare il popolo palestinese dalla Striscia di Gaza, “che costituisce una palese violazione delle linee rosse contro cui abbiamo costantemente messo in guardia”. Lo ha dichiarato la presidenza dell’Autorità nazionale palestinese. “Sottolineiamo che il popolo palestinese non abbandonerà mai la propria terra.
Il nostro popolo non lascerà la propria patria”, ha affermato la presidenza esprimendo gratitudine all’Egitto e alla Giordania e invitando il presidente Donald Trump a proseguire gli sforzi per consolidare il cessate il fuoco. 

Almeno 22 morti nel sud del Libano, tregua a rischio

Il sud del Libano ritorna ad infiammarsi, dopo due mesi di cessate il fuoco. Almeno 22 persone, è la denuncia del governo di Beirut, sono rimaste uccise sotto il fuoco israeliano mentre tentavano di rientrare nelle loro case. Lo Stato ebraico invece ha puntato il dito contro Hezbollah, che “incita i civili alla rivolta”, e contro l’esercito libanese, giudicato incapace di tenere a freno le milizie sciite. E la situazione è destinata a rimanere tesa, perché l’Idf per il momento non si ritirerà dall’area.
Proprio oggi scadeva il termine in cui l’esercito israeliano avrebbe dovuto lasciare il sud del Libano al controllo dell’esercito di Beirut, al fianco della missione Onu di peecekeeping. Ma tutto questo non è accaduto, perché le parti finora si sono accusate a vicenda di non aver rispettato in pieno i termini dell’intesa sulla tregua, entrata in vigore lo scorso 27 novembre. E così, invece che una giornata di svolta, è stata una giornata di sangue.
La versione del ministero della Salute di Beirut è che le forze israeliane hanno aperto il fuoco sui “cittadini che stavano cercando di tornare nei loro villaggi che sono ancora sotto occupazione”. Il bilancio, 22 morti, tra cui sei donne e un soldato, e 124 feriti. L’Idf invece ha riferito che le sue truppe “hanno sparato colpi di avvertimento per rimuovere le minacce” in un’area in cui erano stati “identificati dei sospetti che si avvicinavano”, e che ci sono stati degli arresti.
Al netto delle diverse ricostruzioni, migliaia di residenti si sono effettivamente messi in marcia verso le città e i villaggi d’origine, nonostante gli avvertimenti degli eserciti libanese e israeliano e dell’Unifil che la regione rimanesse pericolosa. Negli ultimi giorni, tra l’altro i media di Hezbollah avevano incoraggiato i civili a tornare nelle loro case, ed in alcune zone erano stati segnalati convogli che sventolavano la bandiera gialla e verde del Partito di Dio.
Nel breve periodo, la situazione al confine resterà quanto mai incerta. Israele resterà a presidio del confine non meno di un altro mese, perché ritiene che non ci siano ancora le garanzie di sicurezza per i 60.000 connazionali sfollati dalle comunità nel nord del Paese. Secondo Beirut, invece, è proprio il mancato ritiro dell’Idf che ostacola il completo dispiegamento nel sud dell’esercito libanese, al posto di Hezbollah.
Il consolidamento della tregua è il primo grande test per il nuovo presidente libanese, Joseph Aoun, eletto lo scorso 9 gennaio dopo tre anni di paralisi politica nazionale. Il capo dello stato (ed ex capo dell’esercito), parlando della crisi con Israele, ha sottolineato che “la sovranità e l’integrità territoriale del Libano non sono negoziabili”, ed ha aggiunto che sta seguendo questo dossier “al massimo livello”. Nel frattempo il primo ministro ad interim, Najib Mikati, ha chiesto ai promotori dell’accordo di novembre, a partire da Stati Uniti e Francia, di premere sugli israeliani per un loro ritiro. Un appello accolto da Emmanuel Macron, che ha fatto tale richiesta direttamente a Netanyahu nel corso di una telefonata. 

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