Vendo un oggetto più usato di quanto dichiaro: cosa rischio?

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Che succede se l’oggetto venduto online presenta caratteristiche inferiori o peggiori rispetto a quelle indicate e dichiarate al compratore; cosa cambia se il venditore è un professionista o un privato.

Un ragazzo ci scrive raccontando di aver venduto una macchina fotografica mirrorless che aveva molti più scatti (quasi il triplo, parecchie decine di migliaia in più) rispetto a quelli dichiarati al compratore nei messaggi scambiati online. Insomma, l’oggetto venduto online era molto più usato di quanto sembrasse al momento della conclusione del contratto a distanza, e dunque senza la possibilità per l’acquirente di vedere, ed esaminare, in anticipo questa fotocamera: non rimaneva che comprare e fidarsi, oppure rifiutare l’affare. Adesso il compratore si è reso conto della avvenuta vendita di un prodotto diverso da quanto dichiarato dal venditore ed è intenzionato a denunciarlo per truffa. Perciò il nostro lettore, preoccupato, ci chiede: se vendo un oggetto più usato di quanto dichiaro, cosa rischio?

Vediamo, dunque, quali sono i rischi per il venditore che adotta un simile comportamento ed esaminiamo anche le tutele giuridiche per l’acquirente che riceve un oggetto non conforme alle caratteristiche promesse.

Innanzitutto, il lettore che ci ha posto il quesito non ci ha specificato una cosa molto importante, e cioè se ha agito in qualità di professionista (imprenditore) o di privato: nel primo caso, si applica la specifica, e più stringente, disciplina prevista dal Codice del Consumo, mentre nella seconda ipotesi la tutela è quella generale, prevista dal Codice civile per tutte le compravendite.

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In entrambe le situazioni, comunque, si applicano anche le norme del Codice penale relative alla truffa, mentre l’altro reato ravvisabile – quello di frode in commercio – riguarda, praticamente, solo i venditori professionisti. In una prospettiva di interesse generale del pubblico, noi adesso tratteremo tutte queste diverse possibilità.

Vendite online: adempimenti obblighi del venditore

Le vendite online effettuate da rivenditori professionali (sono tali tutti coloro che agiscono nell’ambito della propria attività imprenditoriale o commerciale, dunque esclusi i privati che vendono solo occasionalmente online i propri oggetti usati) sono soggette ai requisiti stabiliti nell’articolo 49 del Codice del Consumo (potenziato con la riforma introdotta dal D. Lgs. n. 26 del 2023). Tra questi adempimenti del venditore ci sono le seguenti informazioni che devono essere obbligatoriamente fornite – in modo chiaro e comprensibile – al consumatore acquirente:

  • identità del professionista (nome o ragione sociale, indirizzo geografico, recapiti telefonici e indirizzo di posta elettronica);
  • caratteristiche essenziali del bene o del servizio offerto, con una descrizione accurata e completa, possibilmente corredata di immagini o video esplicativi dell’oggetto e del suo funzionamento;
  • prezzo totale di vendita, comprensivo di IVA e di eventuali spese aggiuntive poste a carico del compratore, come quelle di spedizione;
  • modalità e tempi di pagamento, di consegna e di esecuzione delle prestazioni accessorie pattuite;
  • esistenza del diritto di recesso, che il consumatore può esercitare, senza penalità né obbligo di motivazione, entro 14 giorni dalla conclusione del contratto o dal ricevimento della merce;
  • applicazione della garanzia legale di conformità del prodotto e informazioni sulle condizioni per esercitarla, nonché previsione di eventuali garanzie commerciali ulteriori e servizi post-vendita.

Come si stabilisce la conformità del prodotto?

La conformità del prodotto a quanto dichiarato dal venditore è un elemento fondamentale nelle vendite online effettuate da professionisti e il Codice del Consumo (agli articoli 128 e seguenti) prevede specifiche tutele per il consumatore, stabilendo innanzitutto che il venditore professionista è direttamente responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene.

Ai sensi della suddetta normativa, un prodotto si considera conforme al contratto di compravendita stipulato a distanza (e dunque online, o talvolta anche attraverso altri canali, come il telefono o le televendite) quando:

  • corrisponde alla descrizione fatta dal venditore e possiede le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;
  • è idoneo all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo, o comunque all’uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato (questo vale soprattutto nella compravendita di oggetti usati, come autovetture, orologi, gioielli computer o altri prodotti tecnologici, ecc.: ad esempio si può vendere un’auto usata e non marciante, o un anello scheggiato, ma bisogna dirlo in anticipo);
  • presenta la qualità e le prestazioni abituali di un prodotto dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore (e/o dal produttore e dagli eventuali agenti o rappresentanti intervenuti), in particolare nella descrittiva delle caratteristiche (compresa quella fornita nella pubblicità) o sull’etichettatura.

Cosa succede se il prodotto non è conforme?

Se il prodotto acquistato online non è conforme a quanto dichiarato dal venditore, il consumatore ha diritto di far valere la garanzia legale di conformità, e dunque può chiedere al venditore, senza spese, la riparazione o la sostituzione del bene difettoso.

Solo se la riparazione o la sostituzione sono oggettivamente impossibili o eccessivamente onerose – ed anche quando non sono state effettuate dal venditore entro un congruo termine, o hanno arrecato notevoli inconvenienti al consumatore non risolvendo il difetto – l’acquirente può chiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (con diritto, quindi, a ricevere il rimborso di quanto già pagato, previa restituzione dell’oggetto acquistato).

Il consumatore deve denunciare il difetto di conformità al venditore entro due mesi dalla scoperta. La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del difetto o lo ha occultato. L’azione diretta a far valere i difetti di conformità si prescrive in due anni e due mesi dalla consegna del bene.

Ricordiamo che il venditore durante il periodo biennale di validità della garanzia legale è responsabile anche dei difetti di conformità che, pur se non immediatamente riscontrati dall’acquirente, si manifestano entro due anni dalla consegna del bene (si pensi ad un’autovettura usata che inizia a dare problemi dopo qualche tempo). Nel caso di beni usati, le parti possono limitare la durata della garanzia legale di conformità, che però non può essere inferiore a un anno dalla consegna.

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Perciò, per esercitare al meglio queste tutele, l’acquirente online deve conservare sempre la documentazione relativa all’acquisto (ordine, conferma, fattura, messaggi con il venditore anche in forma di e-mail o di chat), ed è bene esaminare attentamente il prodotto al momento della consegna in modo da poter segnalare eventuali difetti al venditore il prima possibile.

Vendite online tra privati: cosa cambia?

È importante sottolineare che questi adempimenti e obblighi stabiliti dal Codice del Consumo si applicano solo ai venditori professionisti. I privati che vendono occasionalmente online non sono tenuti a rispettare tali condizioni (compresa la garanzia), ma rimangono comunque responsabili per eventuali vizi della cosa venduta o altri inadempimenti contrattuali (tipico è quello della mancata consegna del prodotto nonostante l’incasso del prezzo che il compratore ha pagato anticipatamente) e, in particolare, possono subire queste conseguenze, in base alle decisioni assunte dall’acquirente di un bene che risulta avere caratteristiche diverse da quelle dichiarate:

  • l’azione redibitoria prevista dall’articolo 1497 del Codice civile, che – se la cosa venduta non ha le qualità promesse o essenziali per l’uso a cui è destinata – consente al compratore di ottenere la risoluzione del contratto (e quindi la restituzione del prezzo) o una riduzione del corrispettivo pagato proporzionale alla gravità del vizio riscontrato e all’impedimento dell’uso del prodotto;
  • il risarcimento dei danni subiti a causa del difetto del prodotto, a prescindere dalla buona o mala fede del venditore;
  • la responsabilità per i reati ravvisabili, che possono consistere nella truffa (prevista e punita dall’articolo 640 del Codice penale) se risulta che il venditore ha agito con raggiri o artifizi, inducendo in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto al fine di trarne un profitto ingiusto. Questo reato – che si configura non solo tra privati, ma anche per le vendite professionali – prevede la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da 51 a 1.032 euro;
  • potrebbe anche essere ipotizzata la frode in commercio, anche se questa ipotesi di reato è meno probabile in quanto si applica principalmente ai professionisti che pongono in vendita (anche in modalità tradizionale, nei negozi fisici) beni e merci con caratteristiche diverse da quelle dichiarate. Tuttavia, se la vendita avviene in modo organizzato e continuativo, anche un privato potrebbe essere accusato di frode in commercio.

Conclusioni e risposta al quesito di partenza

Vendere un prodotto con caratteristiche diverse da quelle dichiarate è sempre un illecito civile, che dà diritto al compratore di chiedere la risoluzione del contratto o una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno. Se il venditore ha agito con l‘intenzione di ingannare l’acquirente (ad esempio, mentendo sulle caratteristiche essenziali del prodotto, quelle che hanno indotto il compratore ad acquistare ed hanno anche determinato il prezzo della compravendita), può configurarsi anche il reato di truffa, a prescindere dal fatto che il venditore sia un professionista o un privato.

Lo ripetiamo: la truffa richiede la sussistenza – e dunque la dimostrazione rigorosa – degli artifizi e raggiri perpetrati dal venditore per indurre in errore l’acquirente sulle qualità del bene, in modo da procurarsi un ingiusto profitto. Se questi elementi costitutivi del reato mancano, all’acquirente rimane percorribile solo la strada civile per porre rimedio all’illecito.

Nel quesito di partenza, pertanto, la vendita della fotocamera usata spacciata per meno utilizzata di quanto non fosse in realtà, dato che aveva fatto molti più scatti di quanto dichiarato, può comportare le suddette conseguenze civili e penali. Se l’acquirente opta per la strada penale, ha 3 mesi di tempo, decorrenti dal momento della scoperta del fatto, per sporgere querela. Ovviamente in tal caso per ottenere il risarcimento dei danni (come quelli derivati dalla minor durata dell’apparecchio o del costo sostenuto per le riparazioni) sarà necessario che il pubblico ministero formuli l’imputazione (cosa non scontata, perché potrebbe ravvisare soltanto gli estremi dell’illecito civile, se non risultassero provati gli artifizi e raggiri del venditore determinanti l’induzione in errore dell’acquirente) e poi dovrà avvenire la costituzione di parte civile nel processo penale.



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