Noi, spettatori smemorati davanti ad Auschwitz

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Auschwitz – Reuters

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La tragedia lega per l’eternità Israele, Gaza, i territori limitrofi e in definitiva tutti noi, qualunque siano la nostra posizione politica, il giudizio umano, l’istinto di pancia. Non intendo entrare nel merito della questione atavica e controversa che ha portato ai massacri degli ultimi mesi: per primo il pogrom orribile del 7 ottobre 2023, quindi i seguenti distribuiti a grappolo in giorni crollati rovinosamente uno sull’altro, in una progressiva assuefazione alla danza macabra di una guerra via via ostentata e perseguita con una ostinazione che si credeva dimenticata. Il racconto chiama a testimoni media attrezzati quasi sempre di paraocchi ideologico, dove tutto sembra ridursi a una competizione insensata per giustificare attentati e bombardamenti di questa o quella parte. Di fronte all’incomprensibile mi ritiro nell’unica certezza assunta tempo fa dal minuscolo villaggio di Oswiecim come un latte di pensiero crudo dal sapore forte, dopo il quale ogni altro latte pastorizzato della civiltà indifferente che partorisce senza sosta piccoli e grandi mostri perde sostanza. Auschwitz è lì. Estranea a ogni logica commerciale della carne per cui tanto ti devo e tanto mi prendi con gli interessi e siamo tutti a posto, non si riconquista con i soldati, non si monda con le guerre, non è una cambiale aperta anche se il debito è insanabile. Non si riscatta a prezzo di vittime al banco dei pegni della storia, irriducibile alla idea stessa di vendetta che ne farebbe ancora una volta territorio di macellai indisturbati e acclamati da folle europee conniventi che oggi, intorpidite dal primato di un benessere mediocre, reclamano la propria libbra di distruzione nel colosseo enorme del mondo, messo a disposizione da un fato gentile che ha regalato loro il ruolo di spettatori non paganti ed esigenti di digestione facile e memoria corta, pollice deciso e rapido. Credo che perfino Davide proverebbe imbarazzo di fronte a una storia che non pare ragionare di ragionamenti umani, e ricalcola ad libitum il prezzo della devastazione altrui.Arare il solco di carni inconsapevoli che germogliano innocenti come ogni nuovo nato alla superficie, non più colpevoli di noi e di voi e di loro, concima le terre di un fertilizzante tremendo che nutrirà il seme nascosto e ancora ignaro sfuggito allo scempio per una asincronia fortuita, l’odio che ancora non sa di odiare, cui le scelte degli altri, nessuno escluso, hanno preparato l’eredità di una strada senza via d’uscita. Forse è troppo difficile, forse è una prospettiva non umana rinunciare all’ansia tribale di moltiplicare i morti che pure, in questo caso, eccedono la perseveranza del più solerte dei generali. Dall’altra parte è altrettanto disumano immaginare la carne straziata e il sangue orfano come cemento di un mondo nuovo dove i nemici spariscono, l’avversario definitivamente eliminato, prospettiva distorta di un progetto che con la giustizia ha poco a che fare. Da sempre l’illusione degli eserciti tenta il politico e la piazza ripulita dall’ostacolo di popoli stranieri e nemici inebria le masse. Ma ciò che offre sul piatto d’argento chiesto dalla Salomè di turno è una testa che a guardar bene è la propria, grondante di un sangue su cui non si può vantare né diritto né alcuna licenza divina. Ovunque si pensi di pareggiare i conti oltre il diritto inalienabile alla difesa urgente, oltre le decime che ragionieri di massacri calcolati vantano a pagamento di debiti insanabili e monito per le recidive, si apre la via alla febbre che trascina il mondo nei suoi abomini ciclici. Auschwitz rimane lì, inespugnabile, monito e speranza, ciò che è oggi, bibbia inascoltata sulla terra, bandiera di tutte le bandiere dove bandiera non è l’imposizione di un diritto a prezzo della vita altrui, segno per tutti, di tutti e di nessuno.Il prezzo versato dai martiri portati come bestiame al mattatoio per l’Europa complice e assente del secolo scorso chiede con voce discreta e potente che non si aprano altri conti di umanità sacrificate come gramigna che infesta il grano degli eletti. Quella voce la sento ogni giorno, da quando il villaggio della Piccola Polonia è diventato casa e linfa di un pensiero nuovo e scelte diverse. Penso con tenerezza e sgomento commosso a chi rischiava le fiamme per salvare la Torah prima di imbracciare i fucili. Ingenuità e fede legate a doppio filo con la dignità biblica di un uomo che rivendica logiche diverse, spinta al sacrificio ultimo per non cedere al mondo che distrugge se stesso raccontandosi che poi sarà diverso. La musica che vuole ascoltare il mondo però è diversa, i mitra e le bombe parlano più forte di ogni bibbia nell’istante in cui strappano la carne dall’osso della gente. Quindi lasciano posto al silenzio muto e sterile, vuoto insanabile di una paura che si tenta inutilmente di riempire con altri morti, eco del niente tra le macerie umili di storie ignote. Rimane un uomo solo e vecchio come la morte, che della morte non ha conservato la pietà, disumanizzato per propria stessa decisione. La storia non fa tornare i conti secondo le nostre regole, sempre miserabili quando contano i cadaveri. La sua matematica ha una sua logica impenetrabile, chi cerca di scardinarla prepara l’onda di ritorno del sangue in cui ha specchiato la propria gloria temporanea. Ogni singolo innocente, di ogni parte, reclama giustizia; chi ha iniziato prima non conta. Per quanto si tenti di annientarla, la carne è quanto di più persistente ci sia in questo universo così meraviglioso e miserabile e torna a batter cassa nei suoi modi orrendi. Al condottiero e al suo progetto manca il sano terrore di ciò che le sue mani amministrano con leggerezza, distribuendo sentenze che si ritorceranno contro chi viene dopo, generazione dopo generazione. Mi chiedo se in quella situazione anch’io moltiplicherei i morti per un fattore di odio inestinguibile, trascinato da rabbia e sete di vendetta che legittimano il chiamarsi morte. Non posso escluderlo, sarebbe una mancanza di rispetto e umiltà. Posso solo sperare che quell’affetto dei viali rinati di Oswiecim mi impedirebbe di continuare ad amputare un arto da cui continua a fuoriuscire sangue come un fiume, Mar Rosso che rischia di richiudersi su tutti noi.





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