La storia di Montepaschi. Ascesa, crisi e salvataggio. Un destino intrecciato a Siena

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Roma, 25 gennaio 2025 – È una storia di vorticose salite e precipitose discese, trame oscure e armoniosissimi grovigli, sogni troppo grandi per essere veri, drammi umani e voli dalla finestra, abbandoni e tradimenti sospesi in un tempo che si dilata al punto che quando tutto sembrava perso, quando il Sunto faceva risuonare i suoi rintocchi per chiamare la città ormai vinta dai barbari invasori, ecco, proprio in quel momento Siena risorge. Un canape che si abbassa e cambia il corso della Storia. Una storia in fondo molto senese, di provincia che si vuole sentire impero, che anche quando i Medici contavano, e contavano sul serio, volle mantenersi repubblica; una storia in cui gli odi contano più degli amori, e le contrade si permettono di odiarsi così tanto perché si sa che in fondo ci si vuol bene, una storia in cui si vince anche da scossi, e niente era più scosso del Monte solo due o tre anni fa, una storia in cui fino in fondo non è detta l’ultima parola, e quante volte il fantino è uscito dal Casato con il nerbo alzato in mano e si è visto sbattere per terra dalla nemica che ha fatto risuonare il mortaretto della vittoria. Una storia in cui tutto è vero e tutto è falso, tutto è ammesso perché niente è vietato, in cui si piange molto senza sapere se si piange per rabbia o per amore.

Uno dei tanti trofei di basket vinti dalla Mens Sana di Siena

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Perché la storia degli ultimi trent’anni del Monte dei Paschi, la banca che orgogliosamente si definisce la più vecchia del mondo senza darsi troppo da fare a fornirne le prove, è una storia di finanza, di finanza tradita, o di finanza sbagliata, o di finanza gettata, o di finanza come volete voi, ma è una storia in cui la finanza è una sineddoche, la parte per il tutto, che non sarebbe potuta accadere a Milano, a Roma, forse neppure a Firenze. Oltre la finanza c’è molto di più.

Una storia che inizia quando con la legge Ciampi la banca diventa di proprietà della Fondazione Monte dei Paschi, a sua volta posseduta dagli enti locali. Ergo comune e provincia, ergo (principalmente) Diesse. A quei tempi c’erano loro, c’erano sempre stati.

Uno sgambetto nel derby interno della sinistra (ecco il tradimento) fa sbalzare giù dal cavallo il re della piazza Pierluigi Piccini, l’Aceto dei tempi, e spiana la vittoria a Giuseppe Mussari, 39 anni, fantino semiesordiente, sconosciuto però solo ai meno addentro alle cose. Mussari in realtà era uno degli enfant prodige della sinistra, organico fin dai tempi della Fgci. Nel 2001 inizia il suo regno, che governa con sapiente maestria, riuscendo a mettere sempre d’accordo chi dalla banca voleva ricavare il proprio posto al sole, partiti, massoneria, financo la chiesa senese che in Fondazione aveva il suo peso e voleva i suoi spiccioli. Il famoso groviglio armonioso di cui parlò Stefano Bisi, gran massone, con un’immagine felice che rese benissimo il senso della senesità più profonda. E permettendosi così, Mussari, di immaginare l’inimmaginabile (il sogno troppo grande) ossia l’acquisizione di Banca Antonveneta, per poter costuire il terzo polo italiano (la vorticosa salita). Offrendo una cifra elevatissima (8 miliardi di euro, 17 se si considerano i debiti) che grazie alla concomitante crisi dei subprime finì per rivelarsi disastrosa e portò al collasso del Monte (la precitosa discesa). Fine dei sogni di grandezza per Mussari, che per 4 o 5 anni veniva considerato il Musk della sinistra, degno epigono della merchant bank di Palazzo Chigi fino a immaginarsi entro poco sulla scrivania di Quitino Sella al ministero dell’Economia.

Fine dei sogni anche per Siena, che ne volgere di una decina d’anni aveva vissuto la sua epoca d’oro fatta di sponsorizzazioni faraoniche al punto da assicurare alla città una squadra in serie A per nove anni consecutivi (dal 2003 in avanti) e una ai vertici del basket internazionale (la Mens Sana, che tra il 2007 e il 2013 farà incetta di scudetti). Inizio di una camminata nel deserto drammatica, che portò lutti (il suicidio di Davide Rossi è del 2013), inchieste (Mussari fu poi inquisito e poi assolto solo nel 2017) e stridore di denti per una città che ormai si sentiva alla deriva, e che si era rassegnata a finire nelle mani dello Stato per essere salvata e poi venduta a chissà chi, al migliore offerente che comunque non sarebbe stato un senese, e forse neppure uno di sinistra. Poi il mossiere ha inaspettatamente riaperto la busta del destino, il cavalli si sono riallineati e il canape è sceso di nuovo. Siena.



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