Il frequente ricorso a misure di condono o a sanatorie di carattere fiscale (5 dal 2016 a oggi), finalizzato a “incrementare, in termini più certi e veloci, il gettito fiscale” e a “perseguire finalità di deflazione del contenzioso tributario pendente”, appare “controverso” sia con riguardo all’“effettivo impatto positivo sulle finanze dello Stato”, sia in riferimento al reale “impatto deflattivo” delle controversie.
È quanto si legge nella lunga “Relazione sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2024”, di cui la Prima Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, ha letto una sintesi durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, tenutasi ieri presso l’Aula Magna del Palazzaccio, a Roma.
L’ultimo provvedimento clemenziale, contemplato dalla legge di bilancio 2023 (L. 29 dicembre 2022 n. 197), “ha determinato un forte rallentamento delle ordinarie attività di gestione del contenzioso per la sospensione dei termini per quasi un intero anno, condizionando l’individuazione dei ricorsi da trattare con efficacia”. Il contenzioso tributario rappresenta una parte significativa di tutto il contenzioso civile pendente presso la Suprema Corte (il 46% al 31 dicembre scorso) e influisce su tutti gli indici statistici, incluso il disposition time (durata stimata dei processi).
Nel 2024, la durata media dei processi è stata di 1.248 giorni, con un disposition time di 944 giorni. Ma se si esclude la Sezione tributaria, i due indici scendono a 1.042 e 733 giorni. “Negli ultimi due anni – scrive Cassano – l’andamento dei dati della Sezione Tributaria è stato influenzato dagli interventi di condono”. Nel 2023, le controversie definite dalla Corte sono state 10.469, di cui 3.400 da definizione agevolata, mentre le sopravvenienze, a causa della sospensione dei termini processuali, sono scese a 6.952 dalle oltre 10 mila del 2022.
Gli effetti deflativi, dunque, ci sono stati, ma sono “progressivamente venuti meno nel corso del 2024, anno in cui si è registrata una riduzione delle definizioni dipendenti da condono (1.294) e un rilevante incremento delle sopravvenienze”, risalite fino a 9.548.
“Appare dirompente – continua la relazione – sulla qualità e durata dei processi la disciplina delle c.d. rottamazioni, per le quali è prevista la possibilità di rateazione del debito fino al 2028, scadenza peraltro suscettibile di essere prorogata a epoche successive”. A oggi, il tema è capire se, nelle more della rottamazione, il giudizio, sospeso per la presentazione dell’istanza, debba restare in quiescenza fino al compiuto adempimento del piano di rateazione oppure se possa definirsi estinto una volta che la domanda di condono sia stata accettata e venga documentato il regolare versamento delle rate almeno fino alla fissazione dell’udienza.
La prima opzione interpretativa porterebbe il giudizio tributario ad assumere una “dimensione temporale irragionevole e abnorme”. Stante, però, il contrasto interno alla sezione tributaria, “va considerata con favore la recente riforma della riscossione” che “concentra la riscossione nello stesso accertamento, prevedendo una elencazione puntuale degli atti con forza esecutiva, con un progressivo sostanziale superamento del ruolo e della cartella”.
Altro aspetto controverso attiene all’efficacia del giudicato penale nel giudizio tributario, oggetto di specifico intervento normativo con il DLgs. 87/2024. Il nuovo art. 21-bis del DLgs. 10 marzo 2000 n. 74 prevede che la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste abbia efficacia di giudicato anche nel processo tributario.
“La questione – scrive Cassano – presenta profili che dovranno essere oggetto di approfondita disamina”. Il tema di fondo va individuato nel “diverso standard probatorio tra giudizio penale e giudizio tributario, poiché il sistema delle presunzioni, che caratterizza il sistema tributario, non ha rilevanza del giudizio penale”. Diverse, inoltre, sono le regole di riparto dell’onere della prova che, nel giudizio penale, “incombe integralmente sul pubblico ministero”, mentre nell’ordinamento tributario è “distribuito tra contribuente ed Erario in termini compositi e differenziati a seconda della fattispecie”.
La prima Presidente della Suprema Corte segnala, inoltre, il “problematico” coordinamento tra il recente DLgs. 26 settembre 2024 n. 141 e la disciplina unionale in materia di dogane. Una delle principali novità introdotte dal legislatore italiano riguarda la qualificazione dell’IVA all’importazione come diritto di confine. Tale disposizione, sottolinea Cassano, sembra però porsi “in frizione con il principio, più volte affermato dalla Corte di Giustizia, per cui l’IVA all’importazione ha sempre e in ogni caso la stessa natura dell’IVA interna”.
In più, l’inclusione nei diritti di confine e l’applicazione del regime previsto per i dazi “ripropone, con forza, le questioni sulla proporzionalità del trattamento sanzionatorio applicato all’Iva all’importazione, in ispecie quanto all’applicazione della misura di sicurezza della confisca doganale che deriva ineludibilmente anche dalla nuova disciplina”.
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