Somalia: avvio stentato per la nuova missione di pace

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Operativa dal 1° gennaio AUSSOM, la missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione Africana

L’AUSSOM si trova a dover conciliare truppe di paesi rivali (Etiopia ed Egitto) e a rischiare di perdere quelle che da sempre hanno partecipato alla stabilizzazione del paese (Burundi). In più senza sapere con certezza dove troverà i fondi per pagarle

Lo scorso 27 dicembre il Consiglio di sicurezza dell’ONU con la risoluzione 2767 (2024) ha approvato l’avvio della nuova missione di pace in Somalia, con l’obiettivo definito nel nome: African Union Support and Stabilisation Mission in Somalia (AUSSOM, missione di supporto e stabilizzazione dell’Unione Africana in Somalia).

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La risoluzione è stata approvata con 14 voti favorevoli, 9 contrari e 1 astenuto, gli Stati Uniti, per questioni relative al budget e a problemi amminstrativi.

L’AUSSOM è diventata operativa il 1° gennaio. Suo capo diplomatico è l’ambasciatore El-Amine Souef, delle Comore, che era stato a capo anche della missione precedente, l’African Union Transition Mission in Somalia (ATMIS, missione di transizione in Somalia).

L’AUSSOM è infatti la terza missione dell’AU nel paese.

AMISOM (2007-2022)

La prima, l’African Union Mission in Somalia (AMISOM, missione dell’Unione Africana in Somalia) ha operato per quindici anni, dal 2007 al 2022, con il compito di sostenere e rafforzare il governo federale di transizione, che aveva sostituito quello delle Corti islamiche, spazzato via con il decisivo contributo dell’esercito etiopico.

In seguito al cambio di governo imposto dall’operazione militare di Addis Abeba, supportata da una buona parte della comunità internazionale, si era infatti aperta una vera e propria guerra civile.

Molti dei giovani sostenitori delle Corti islamiche si erano raggruppati nel movimento al-Shabaab (che in arabo significa giovani, appunto), ben presto legatosi all’organizzazione terroristica al-Qaida che l’ha formalmente riconosciuto come suo affiliato in Somalia nel 2012.  

L’AMISOM, che era formata da truppe di paesi della regione – Uganda, Burundi, Gibuti, Kenya ed Etiopia – avrebbe dovuto, tra l’altro, sostenere il governo federale di transizione nella lotta contro al-Shabaab in modo da sconfiggere il movimento islamista radicale che controllava saldamente una buona parte del territorio del paese e costituiva una seria minaccia anche per i paesi confinanti.

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Dopo 15 anni di attività l’AMISOM non aveva raggiunto gli obiettivi posti. La situazione somala era decisamente cambiata. Il governo di Mogadiscio si era sicuramente rafforzato ma al-Shabaab non era stato sbaragliato. Anzi, continuava a controllare molte aree rurali ed era diventato una sorta di potenza economico/finanziaria, essendo riuscito ad infiltrarsi, e di fatto a controllare, diversi settori economici.

ATMIS (2022-2024)

L’esercito somalo, cui AMISOM avrebbe dovuto trasferire le competenze in fatto di difesa del territorio, non era ancora pronto ad assumersi una tale responsabilità. Perciò il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione 2628 (2022) aveva autorizzato la formazione di un’altra missione di pace, l’African Union Transition Mission in Somalia (ATMIS, missione di transizione in Somalia), che ha operato dal 1° aprile 2022 al 31 dicembre 2024 con il mandato di realizzare pienamente il Piano di transizione somalo, completando il lavoro intrapreso da AMISOM.

Ma, con l’avvicinarsi della fine del mandato dell’ATMIS, è risultato evidente al governo somalo, ai paesi della regione, all’Unione Africana e all’ONU che, senza un ulteriore periodo di sostegno, si rischiava di perdere i passi avanti finora compiuti.

Da qui la decisione di mettere in campo l’AUSSOM.

La Somalia nell’EAC e nel Consiglio di sicurezza

Nel giorno dell’inizio del mandato, il suo capo, El-Amine Souef, ha elencato gli indubbi successi ottenuti dal paese durante e con il sostegno delle missioni precedenti.

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Sul piano militare, ora l’esercito somalo è in grado di affiancare il contingente di pace nelle operazioni di controllo del territorio. Ma altrettanto, e forse più, importanti sono stati i successi sul piano diplomatico.

Tra gli altri l’ambasciatore ha ricordato che, nel marzo 2024, Mogadiscio è entrata nella Comunità dell’Africa Orientale (EAC), ponendo le basi per una maggior integrazione regionale in campo economico, e non solo.

Ha sottolineato inoltre che dal mese corrente e per due anni la Somalia farà parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU come membro non permanente. «È un importante status sia simbolico che diplomatico», ha osservato Abdiqafar Abdi Wardhere, un analista somalo che vive in Virginia. Il prossimo obiettivo potrebbe essere quello di sedere nel Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana.

Per AUSSOM un avvio faticoso

Certo, l’AUSSOM parte in salita.

La regione vive tensioni plurime. In particolare, tra Somalia ed Etiopia, paese chiave delle missioni di pace precedenti, vige un fragile accordo, facilitato nelle scorse settimane dalla Turchia, che ha messo, per ora, la sordina al contenzioso sull’uso del porto di Berbera, concordato da Addis Abeba direttamente con il governo del Somaliland.

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Tra i due litiganti si è inserito l’Egitto, sempre pronto a sostenere gli avversari dell’Etiopia, a causa del suo riempimento unilaterale del bacino della GERD, la grande diga sul Nilo Blu, che potrebbe danneggiarlo gravemente.

Il Cairo si è impegnato a fornire truppe alla missione di pace, anche in forza di un accordo per assistenza militare al paese che prevede la fornitura di armi, anche pesanti, e munizioni.

In questo modo l’Egitto cerca anche di espandere la sua influenza in regioni del continente dove finora non era stato troppo presente. La Somalia è certamente un paese strategico, non solo perché confina con l’Etiopia.

Dopo minacce di blocchi, numerose perplessità e serie discussioni interne, Mogadiscio ha alla fine accettato anche la partecipazione etiopica alla missione di pace.

Ma con l’entrata pesante dell’Egitto e la conferma dell’Etiopia, gli altri contingenti andrebbero ridimensianti. Un taglio particolarmente significativo è stato proposto al Burundi (1.000 soldati invce che 2.200), che insieme all’Uganda è stato il primo ad accettare di partecipare alle missioni di pace in Somalia e quello con il contingente più numeroso (5.432 uomini in ATMIS). Bujumbura si è detta offesa e minaccia di ritirasi del tutto.

La risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza il dispiegamento per un anno di 12.626 uomini, compresi 1.040 poliziotti, e dunque è necessaria una ripartizione tra i partecipanti, che implica anche una diversa assegnazione dei finanziamenti, che costituiscono un altro problema, menzionato nella risoluzione stessa.

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Per sei mesi i fondi sono disponibili attraverso diversi canali. Poi il 75% del budget dovrebbe essere assicurato dall’ONU e il 25% dall’Unione Africana e da altri donatori. Una verifica sull’andamento della missione – e dei fondi messi a disposizione – sarà fatta alla metà di maggio.

L’AUSSOM dunque si trova a dover conciliare truppe di paesi non certamente amici e a rischiare di perdere quelle che da sempre hanno partecipato alla stabilizzazione della Somalia, senza creare problemi di rivalità e di posizionamenti sul territorio. In più senza sapere con certezza matematica dove troverà i fondi per pagarli.

In questo scenario piuttosto incerto, i gruppi terroristici hanno ripreso l’iniziativa. Ad al-Shabaab si è aggiunto lo Stato islamico (IS-Somalia) che viene per la prima volta nominato nella stessa risoluzione dell’ONU, in cui si pone come uno degli obiettivi della missione quello di sostenere il governo somalo nello sconfiggere al-Shabaab e i gruppi legati allo Stato islamico, con basi nello Stato federale del Puntland.





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