Mps-Mediobanca, Meloni e Salvini provano a farsi la banca (di destra)

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L’operazione segna un cambio di passo della destra post missina. Gli occhi sono puntati sul Mef di Giorgetti regista politico dell’ops. Il Pd chiede chiarezza: «No a un risiko dettato da logiche di potere» 

«Abbiamo una banca?», è l’ormai celebre domanda dell’allora leader dei Ds Piero Fassino. Ora si riadatta ai tempi e se la intesta la destra sovranista di Giorgia Meloni. La banca di stato, o meglio di governo, è il Monte dei Paschi di Siena. Che ora vuole allargarsi.

L’offerta pubblica di scambio (ops) di Mps per l’acquisizione di Mediobanca, che garantirebbe il conseguente controllo di Generali, è una maxi-operazione di sovranismo finanziario messa a punto dall’esecutivo con lo scopo di avere un riferimento nel mondo bancario. Una banca nazionale.

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L’iniziativa, giudicata ostile da Mediobanca, è stata possibile, appunto, grazie all’istituto di Siena che oggi vede ancora il Mef come primo azionista, con l’11 per cento. La sponda decisiva è quella della famiglia Del Vecchio (attraverso la holding Delfin) e del costruttore ed editore romano, Francesco Gaetano Caltagirone.

Si innesca qui un ulteriore cortocircuito: lo stato finirebbe per accettare di diluire la propria partecipazione dentro l’eventuale nuovo polo bancario, consegnando a due famiglie imprenditoriali un potere mai avuto prima in quell’ambito. I veri vincitori sarebbero Del Vecchio e Caltagirone.

Il ruolo del governo

La regia politica è del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, d’intesa con palazzo Chigi. Anche se i diretti interessati tacciono e sono pronti a smentire. L’Ops è una anche una rivoluzione culturale. Gli eredi della fiamma missina, da sempre ostili ai salotti buoni della finanza milanese, cercano di entrare da padroni in quegli stessi salotti, prendendosi il simbolo di Mediobanca. E con la successiva possibilità di mettere le mani sul Leone di Trieste. Dietro c’è un infine un segnale di Meloni: con l’operazione di Mps ha mandato un segnale di disistima ad Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, e Philippe Donnet, ad di Generali. Ha fatto capire di non volerli più. Resta da decifrare se sia stata una mossa vincente, dato che il veicolo scelto, Mps, potrebbe non essere adeguato.

Ma gli interessi della destra sul mondo finanziario non sono una novità. Già con il ddl Capitali, approvato definitivamente a febbraio 2024, la destra aveva cercato di dare una mano a Del Vecchio e Caltagirone per favorire la presa di Mediobanca e Generali, dando maggior peso alle minoranze. La norma è però troppo astrusa per garantire effetti concreti. Fallita la strada legislativa, si è passati a un altro livello di azione, sfruttando il braccio operativo di Mps. L’uomo della finanza di Fratelli d’Italia, il deputato Marco Osnato, è stato l’unico meloniano ad andare in avanscoperta, parlando di «un’operazione di sistema intelligente e proficua che può dare un consolidamento bancario molto importante per la nostra nazione».

Cambio di rotta

Non solo. C’è un altro dato indiretto che conferma il sostegno governativo all’operazione. Giorgetti aveva minacciato il golden power di fronte alla recente offerta pubblica di scambio di Unicredit su Bpm per impedirne la scalata.

L’obiettivo era la creazione di un terzo polo bancario favorendo la fusione tra Mps e Bpm. Il ministro non aveva celato la sua contrarietà. Il leader leghista, Matteo Salvini, lo aveva seguito a ruota e aveva annunciato le barricate dichiarando la propria contrarietà ai monopoli. Ma l’ops su Mediobanca segna un passo in avanti, spostando la vicenda in un territorio ancora più ambizioso. Una banca governativa ancora più forte.

Lo testimonia tweet, sebbene un po’ criptico, del senatore salviniano, Claudio Borghi: «Direi che la cosa va seguita con interesse e non solo per Siena per tutta l’Italia». Forza Italia, con il vicepremier Antonio Tajani, ha benedetto l’operazione: «Siamo per il libero mercato». Ma con un’aggiunta del deputato e portavoce di FI, Raffaele Nevi: «Continuiamo a chiedere che lo Stato esca il prima possibile dal capitale di Mps». La versione, ovviamente non ufficiale, che rimbalza dal Mef spinge a minimizzare il caso, derubricandolo a operazione di mercato. E nel governo, a microfoni spenti, c’è chi invita alla prudenza: «Meglio non metterci troppo la faccia sull’operazione. Qualcuno potrebbe uscirne male».

E Benedetto Della Vedova, deputato di +Europa, fa notare le incongruenze: «Giorgetti deve spiegare se e cosa sapeva. L’ad di Mps ha detto di avergliene parlato oltre due anni. Deve dire se ha deciso lui, come socio principale o se ha avallato l’operazione. Ma è evidente che non può non assumersi la responsabilità». E dal Pd arriva l’appello: «No a un risiko dettato da logiche opache di potere», ha detto il senatore Antonio Misiani, invitando Giorgetti in parlamento. Il primo a farsi sentire è stato il deputato di Orizzonti liberali, Luigi Marattin: «Lo stato si tolga di mezzo dal capitale della banca». Solo che oggi sembra in ritardo sui tempi.

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