La nube gialla e quel tappeto di cenere impermeabile su cui “scivola il fango”, ecco perché Stromboli teme ogni pioggia

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Gli esperti lo chiamano “rischio interferenziale”. Una combinazione di fattori che rendono Stromboli ancora più vulnerabile alle intense ondate di maltempo. Mentre i residenti, a due mesi dalla manifestazione di protesta contro i mancati interventi, attendono la definitiva messa in sicurezza del territorio, un team di studiosi ha acceso i riflettori sulle cause che hanno innescato le recenti alluvioni. Qualcosa sull’isola è cambiato e il luglio 2024 si può considerare una data simbolo. Partono da questo assunto gli autori di una recente relazione che indica una via alternativa per la progettazione di opere per la mitigazione del rischio idrogeologico di Stromboli e Ginostra. A firmarla una equipe di esperti dell’università Federico II di Napoli formata dai professori Luciano Nunziante, Massimo Di Lascio e  dal vulcanologo Giuseppe Rolandi con la collaborazione di Barbara Liguori, Gabriella Di Natale, Alessandra Marano, Clorinda Salvi e Marco Trifuoggi.  L’indagine è basata su robuste e approfondite analisi e prove di laboratorio dei prodotti vulcanici recenti di tipo chimico, fisico, granulometrico, sedimentologico, meccanico, anche con l’ausilio del microscopio elettronico. 

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C’è una correlazione tra le recenti eruzioni dell’estate scorsa e le violente alluvioni avvenute alcuni mesi dopo. Lo avevano già detto gli stessi isolani, ma adesso gli esperti mettono nero su bianco quanto avvenuto sull’isola partendo da quella nube “gialla” e da quel “tappeto di cenere” che ha reso impermeabile il terreno, formando di fatto un percorso privilegiato per le acque meteoriche che hanno invaso in più occasioni il centro abitato. 

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Come si è osservato, nella fase evolutiva delle Pyroclastic Density Currents con caratteristiche idromagmatiche, che hanno chiuso la sequenza eruttiva del luglio 2024, è apparsa evidente –  si legge nella relazione – l’invasione di una nuvola calda su gran parte dell’apparato vulcanico nella zona superiore ai 400 m. s.l.m, la cui superficie è stata ricoperta da una ash fall di colore ocra, carica di sale marino depositata dalla stessa nuvola. Tale coltre si è solidificata in poco tempo, formando un mantello duro e impermeabile con uno spessore decimetrico. Tale mantello ha, in sostanza, determinato una notevole riduzione della permeabilità del terreno, limitando notevolmente la capacità di assorbimento delle acque meteoriche. Si è costituita, quindi, una superficie che è’ stata in grado di favorire un più rapido deflusso delle acque meteoriche, che hanno dilavato i versanti dell’edificio vulcanico successivamente agli eventi eruttivi, accelerando i deflussi nelle aree bacinali che insistono nei due versanti mutuamente opposti di NE e di SW dello stesso cono vulcanico“. 

Quattro alluvioni in tre mesi dopo le eruzioni estive

Gli studiosi hanno quindi analizzato i recenti eventi alluvionali che da agosto a novembre 2024, hanno prodotto quattro nuove colate di fango che hanno investito Stromboli provocando ingenti danni. Eventi che si sono verificati fino a qualche giorno fa anche con pioggia meno intensa. E secondo lo studio si tratta di fenomeni correlati alla solidificazione e impermeabilizzazione del terreno causati dalle eruzioni di luglio 2024. 

“Tali colate – scrivono i componenti dell’equipe –  hanno originato con il loro passaggio impetuoso anche profondi solchi sulla montagna. Le colate di fango che si riversano nelle valli storiche e poi negli alvei dei torrenti, in particolare in località Piscità (torrenti San Bartolo e Montagna Russo, Scalo Balordi, ecc.) hanno, in definitiva, causato l’innalzamento degli alvei dei torrenti con depositi di sabbie fino a raggiungere altezze di 3-5 m., occlusioni di strade, con trasporto di massi rocciosi di oltre 2 tonnellate, interramento di spiagge, ecc. In conclusione, l’insieme di questi fattori, che certamente testimoniano un aggravio delle condizioni idrologico-idrauliche, determinando un aumento della velocità di deflusso superficiale in occasione degli eventi alluvionali dell’ottobre e inizio novembre 2024, rappresentano una condizione di rischio interferenziale, in quanto derivante dalla interferenza di attività vulcaniche da flussi idro-magmatici ed idrologico-idrauliche che si sono verificate l’una di seguito all’altra. Questa situazione sostanzialmente variata in peggio del rischio idrogeologico interviene su uno stato già molto precario del territorio, che al di là delle periodiche azioni di rimozione dei detriti fanghi e sabbie che ostruiscono alvei e strade dopo gli eventi alluvionali, soffre tuttora la mancanza di un serio piano di manutenzione preventiva basata su importanti ed efficaci provvedimenti e sistemazioni di ingegneria naturalistica“.

Gli esperti: “Qualcosa è cambiato rispetto al passato”

Nella relazione, gli autori hanno sviluppato indagini “sui prodotti eruttivi dello Stromboli dell’estate 2024 da diversi punti di vista, per tentare di comprendere la natura e il motivo degli aspetti fenomenologici “diversi” da quelli “di norma” osservati nel passato, e consistenti essenzialmente nel colore giallo ocra del deposito superficiale, e nella solidificazione dello strato superficiale per spessori che raggiungono anche la dimensione del decimetro, rendendo sostanzialmente impermeabile la coltre superficiale con effetti dirompenti sulla formazione di impetuose colate di fango e detriti anche in presenza di piogge di piccola intensità“.

I sei bacini a rischio 

Per gli esperti sono sei i bacini a forte rischio in caso di alluvione. Quattro si trovano a monte dell’abitato di Stromboli, due a Ginostra. Per un totale di ventidue aree censite e monitorate. “Risulta confermato che la già rilevata morfologia territoriale a facce triangolari ha condizionato la forma delle aree bacinali che, di fatto, risultano più allungate nel settore centrale e più limitate spostandosi verso gli spartiacque periferici. Le evidenze di ciò si riscontrano negli alvei San Bartolo e nel Montagna Russo  che raggiungono quote superiori agli 800 m slm e negli alvei a monte della località San Vincenzo  con quote all’apice tra 750 e 850 m slm. Sono proprio questi alvei  che in seguito alle esondazioni del periodo 2022 – 2024, hanno riversato detriti, massi e fango sulle aree abitate“.

La strategia per “frenare” le colate di fango ed evitare altri disastri 

Lo studio suggerisce due tipologie di intervento finalizzate a ridurre l’energia dei deflussi e a contenere gli stessi in percorsi preferenziali a protezione degli abitati di Stromboli e Ginostra.

La prima tipologia prevede una sistemazione delle aree a monte dei bacini che raggiungono quote superiori ai 500 metri con deflussi che iniziano sul cono vulcanico semipermeabile con scarsa o nulla vegetazione. “La finalità è quella di attenuare l’energia cinetica delle acque acquisita in discesa dal cono vulcanico. L’intervento prevede la sistemazione a terrazzi degli impluvi torrentizi operando con strutture a secco utilizzanti tecniche di ingegneria naturalistica e contemporaneamente con limitati movimenti di terra sul bordo interno in modo da spianare le aree lungo le linee di impluvio. Le quote degli interventi per ogni alveo sono quelle del cambio di pendenza alla base del cono vulcanico”.

Il secondo intervento è finalizzato alla canalizzazione dei deflussi a bassa percentuale della frazione solida. Il fine principale è quello di intercettare a monte dell’abitato le incisioni torrentizie evitando che le acque si incanalino su alvei strada riversandosi tra case e viottoli. Si prevedono canalizzazioni effettuate con movimenti di terra con una larghezza variabile in base al numero di alvei che vengono intercettati. Gli argini devono necessariamente essere progettati con tecniche di ingegneria naturalistica e se opportuno anche il fondo canale.

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Ma c’è anche una soluzione più immediata e facilmente attuabile. Prevede di scavare sotto lo strato di cenere e riportare alla luce il materiale accumulato dopo le eruzioni del passato. “Da osservazioni effettuate sul campo, e da colloqui e notizie raccolte a Stromboli nella recente emergenza, si è potuto accertare che al disotto dello strato di cenere solidificata e impermeabile formatosi in superficie, gli strati sottostanti di materiali piroclastici sciolti derivanti da precedenti eruzioni, di colore nero e di grana grossolana (sabbie e ghiaie) sono per loro natura molto assorbenti e drenanti delle acque meteoriche, circostanza questa confermata dalle analisi eseguite da ricercatori del presente gruppo di ricerca su campioni classificati. Questa situazione suggerisce un rimedio abbastanza semplice e speditivo da applicare per attenuare nell’immediato il rischio connesso con la formazione di colate di fango: quello di frantumare la parte superiore solidificata delle ceneri sul cono vulcanico dove hanno inizio le colate, e inoltre determinare ivi delle strisce, della larghezza di qualche metro, sulle quali venga frantumata la cenere solidificata, che costituiscano barriera drenante in quota per le nascenti colate di fango. Queste barriere realizzate in zone opportunamente scelte, possono essere eseguite con relativa semplicità, con l’osservazione di opportune misure di sicurezza, da personale qualificato e autorizzato, o manualmente o anche con piccoli mezzi meccanici, in dipendenza della configurazione dei siti“.

Tuttavia, gli autori dello studio specificano che “la via maestra per la riduzione del rischio da colate di fango in un sito dalle caratteristiche ambientali eccezionali riconosciute nell’ambito della Comunità Europea come quelle di Stromboli, rimane quella degli interventi di ingegneria naturalistica e del recupero ambientale basati su inerbimento, rinverdimento, rimboschimento, sistemazione disgaggio e risagomatura dei versanti instabili, oltre che quello della continua manutenzione e rafforzamento delle opere idrauliche, così come la rimozione e il riutilizzo dei materiali trasportati e depositi”.



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