Il deficit di neve sulle Alpi si scontra con l’aumento dei turisti

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Sulle piste da sci, i cannoni continuano a sparare. I generatori sono in funzione per coprire i versanti di neve e rendere praticabili gli sport invernali. Trascorso l’anno più caldo mai registrato, il turismo della neve è in aumento, le precipitazioni nevose in calo.

Per molte Regioni italiane, l’inizio della stagione invernale 2024-2025 si colloca tra le peggiori per accumulo di neve dal 2011. A dirlo sono le ultime rilevazioni della Fondazione Cima: in Italia, il 10 gennaio 2025, il volume di neve è pari a 1,7 miliardi di metri cubi, contro i 4,6 della media calcolata sui valori dello stesso giorno dal 2011 al 2023. Siamo a circa un terzo delle scorte nivali di quel periodo: un deficit del sessantatré per cento.

Una situazione che, seppur provvisoria, risulta già abbastanza critica. Lo scarso accumulo di neve – ben al di sotto delle medie stagionali – ha ripercussioni dirette sulla disponibilità idrica dei bacini fluviali. Sempre secondo le misurazioni della Fondazione Cima, al 10 gennaio 2025, il deficit idrico di Po e Adige è del sessantuno per cento rispetto al periodo 2011-2023.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Nel frattempo, le macchine sparaneve continuano a lavorare per sostenere il settore turistico. Le vacanze dedicate agli sport invernali sono in costante crescita. Secondo l’analisi previsionale dell’istituto Demoskopika, fatta sulla base dei dati Istat, i numeri del turismo invernale 2024-2025 in Italia sono in lieve ribasso rispetto all’anno precedente (comunque superiori al periodo pre-pandemico), ma le presenze nelle destinazioni sulla neve non accennano a diminuire in modo sostanziale. Il leggero calo di questi mesi da attribuire alla riduzione delle presenze nelle mete culturali del centro Italia. Al contrario, il settore che ruota intorno alle vacanze dedicate agli sport invernali è in crescita.

Il successo di questo tipo di attività è confermato dagli ultimi dati dell’Osservatorio italiano del turismo montano: in questa stagione, il turismo bianco crescerà del 4,2 per cento rispetto all’anno scorso, per un fatturato stimato pari a 11,7 miliardi di euro. Lo sci alpino resta la disciplina più popolare, ma l’Osservatorio rileva che crescono anche altre attività in montagna, come lo snowboard e lo scialpinismo. I praticanti di quest’ultima disciplina aumentano addirittura del 68,7 per cento rispetto all’anno scorso. Così come aumenta il tempo passato in montagna: due giornate e mezza in più a persona.

Un paradosso se si pensa che il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo ad aver superato il limite dell’accordo di Parigi sul clima. La media delle temperature misurate ha superato di 1,6°C quella dell’epoca pre-industriale. La vacanza sulla neve artificiale è un dilemma di sostenibilità: per produrre neve tecnica – così si chiama quella ottenuta dai generatori – servono significative quantità di acqua ed energia. Le stime del consumo idrico ed energetico variano a seconda delle tecnologie usate e delle condizioni ambientali dove operano le macchine sparaneve. 

Alcuni dati li abbiamo. Secondo una relazione della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra), servono quasi mille litri di acqua per produrre circa 2,5 metri cubi di neve artificiale. Significa che per coprire di neve un ettaro di pista da sci sono necessari un milione di litri di acqua. È stato anche calcolato che per produrre la neve indispensabile per gli sport delle ultime olimpiadi invernali, quelle di Pechino del 2022, sono stati usati circa centottantacinque milioni di litri d’acqua, l’equivalente di duecentottanta piscine olimpiche.

A un anno dall’inizio dei Giochi invernali di Milano-Cortina 2026, le notizie per l’Italia non sono incoraggianti. Anche le montagne italiane avranno bisogno di neve artificiale: la quantità di fiocchi sulle Alpi non è quella di cento anni fa. A ribadirlo è uno studio dell’università di Trento e del centro di ricerca di Bolzano, Eurac Research, pubblicato sulla rivista International Journal of Climatology. La ricerca ha quantificato la riduzione delle precipitazioni nevose sulle Alpi in cento anni, dal 1920 al 2020: un calo complessivo pari a circa il trentaquattro per cento, che si è verificato in maniera significativa dopo il 1980.

Il motivo è da attribuire in buona parte al riscaldamento globale di matrice antropica. A dimostrare l’impatto umano del calo di neve nell’emisfero settentrionale è stato un lavoro pubblicato sulla rivista scientifica Nature qualche mese fa. Lo studio in questione ha analizzato i principali bacini fluviali della metà boreale della Terra e ha estratto i dati relativi all’accumulo di neve del periodo 1981-2020. Secondo i risultati, c’è una tendenza significativa che dimostra l’influenza antropica nel declino di neve per ottantadue dei centosessantanove principali bacini analizzati. Per trentuno di questi, poi, è possibile attribuire con certezza che tale riduzione è causata dall’uomo. 



Source link

Microcredito

per le aziende

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link