Investimenti pubblici necessari per una nuova politica industriale nella Ue

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È stato da poco pubblicato il nostro volume “Investing in the Structural Transformation. 2024 European Public Investment Outlook”. È il quinto di una serie di Outlook annuali sugli investimenti pubblici (European Public Investment Outlook series), frutto della collaborazione tra il Centro di Ricerche in Analisi economica e sviluppo economico internazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Cranec) e l’Ofce-Sciences Po di Parigi. L’intento di questa collaborazione tra i due Centri di ricerca è quello di portare nel dibattito pubblico europeo il tema ora essenziale – ma per decenni tabù – della politica di bilancio da intendersi non solo in chiave anticiclica, ma per il suo contributo alla crescita economica attraverso gli investimenti pubblici. I Rapporti annuali si declinano in due Parti: una dedicata agli Stati (in ogni capitolo si monitora annualmente la dinamica della spesa in conto capitale) e una dedicata a focus tematici. Ai capitoli hanno contribuito, in questi anni, più di cento economisti provenienti da Università, Think Tanks, Banche pubbliche d’investimento, istituzioni europee ed internazionali (Banca europea per gli investimenti, Commissione Europea, FMI).

Questo quinto volume è incentrato principalmente sugli investimenti pubblici necessari per una nuova politica industriale nella Ue che sembra finalmente ritornata al centro della scena – i Rapporti Draghi e Letta lo testimoniano – soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina. In sostanza i temi affrontati si situano nel contesto della policrisi che dal 2008 non ha solo una natura economica ma è sempre più legata a fragilità/rischi globali e geo-politici, sociali e sanitari. Rischi inediti che necessitano di un ripensamento sia dell’architettura istituzionale della Ue sia del rapporto tra i poteri pubblici – della Ue e degli Stati – e il mercato, mettendo in primo piano un nuovo ruolo per la politica industriale e il finanziamento di beni pubblici europei.  

Il leitmotiv del volume è che la politica industriale non può essere ridotta semplicemente a strumento per consentire ai mercati di funzionare, ad esempio “livellando il terreno di gioco” e riducendo o eliminando le rendite e il potere di mercato (la dottrina che ha prevalso all’interno della Commissione Europea in passato); né a favorire la creazione di grandi conglomerati oligopolistici  con l’obiettivo di competere sui mercati internazionali; o, ancora, a operare esclusivamente tramite la regolamentazione. La politica industriale deve piuttosto essere una strategia multidimensionale che favorisca la trasformazione strutturale e riduca i colli di bottiglia nei settori strategici, facilitando il processo di distruzione creativa che rialloca risorse dalle attività a bassa produttività a settori che siano strategici per le transizioni ecologica e digitale o semplicemente per motivi geopolitici. Soprattutto occorre una politica industriale declinata su scala europea e non già in chiave di singoli Stati, in altri termini occorrono anche grandi beni pubblici europei. Esempio paradigmatico è la spesa in ricerca e sviluppo, determinante per il cambiamento strutturale e quindi per orientare la politica industriale. Esternalità ed economie di scala sono connaturate a questo tipo di spesa; purtroppo, i dati in un capitolo dell’Outlook (a cura degli autori della Banca europea per gli investimenti) mostrano che gli investimenti in Ricerca e Sviluppo sono calati: se nel 2016 erano il 10% di tutti gli investimenti pubblici, nel 2022 sono l’8,8%. Guardando l’insieme della spesa per R&S (privata e pubblica), la Ue a 27 è fanalino di coda dietro a Cina, Stati Uniti e Corea del Sud; all’interno della Ue la situazione è alquanto eterogenea: Stati che dedicano molte risorse, altri (come ad esempio l’Italia) molto meno.

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Due i messaggi che emergono dall’Outlook 2024: i) gli investimenti pubblici sono essenziali per la crescita non soltanto per l’impatto moltiplicativo immediato sul Pil, ma perché, aumentando la redditività attesa degli investimenti privati, stabilizzando l’economia e riducendo l’incertezza, stimolano l’accumulazione di capitale privato e riducono le disuguaglianze territoriali; ii) un cambio di marcia per recuperare i gap di competitività con Usa e Cina è possibile se e solo si svilupperà con vigore anche una dimensione europea per i beni pubblici europei e per gli investimenti pubblici.

La costruzione di un consenso politico in questa direzione – sempre più difficile a causa di una crescente frammentazione politica, sia europea si all’interno degli Stati – è ovviamente la più grande delle sfide.

 



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