Gli incendi a Los Angeles forse non si potevano evitare, ma certamente contenerne l’impatto sì

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Sugli incendi che hanno devastato Los Angeles ha detto quasi tutto Nando Boero nel suo blog, qui ospitato giorni fa. Chi sa dialogare con le seppie è certamente capace di spiegare con semplicità e immediatezza che cosa innesca queste catastrofi assai meglio di chi usa ancora il “regolo” per fare di conto, giacché “la cultura che ha prevalso in fino ad ora prevedeva di poter dominare e sfruttare la natura per soddisfare le nostre esigenze. Per un po’ la strategia ha funzionato, ma ora i suoi limiti sono evidenti… Le parole sfruttamento e bonifica evidenziano una cultura di dominio sulla natura e non di adattamento alle sue caratteristiche”. Non so dire di meglio.

Il clima che cambia non è certamente estraneo e una ricerca appena pubblicata da alcuni studiosi californiani sulla prestigiosa rivista Nature evidenzia la “volatilità idroclimatica” degli ultimi dieci anni, in particolare gli eventi whiplash, i colpi di frusta (Figura 1). Nessun dubbio che l’incendio di Los Angeles sia classificabile come whiplash.

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Gli incendi sono una novità nella contea di Los Angeles? Non esattamente. Quando, vent’anni fa, iniziammo un’avventurosa ricerca sull’effetto “idraulico” del fuoco, ossia la crescita o meno del rischio idrogeologico e di desertificazione nelle aree incendiate, iniziammo proprio da quelle parti, le montagne di San Gabriel. I dati storici e sperimentali non mancavano. E dimostrammo come il pericolo dei flash flood, le alluvioni lampo, potesse aumentare fino a dieci volte rispetto a quello delle zone indisturbate, quello di desertificazione fino a cento volte, durante il transitorio prima del naturale ripristino del manto vegetale (Figura 2).

Questi incendi potevano esser evitati? Probabilmente no. Sono episodi che, da quelle parti, ricorrono con una certa frequenza; così come in alcune aree mediterranee. Il rischio d’incendio dipende da una serie di fattori, tra cui la temperatura, l’umidità del suolo e la presenza di alberi, arbusti e altri potenziali combustibili, poi vengono la direzione e l’intensità del vento. Tutti questi fattori hanno stretti legami, diretti o indiretti, con la volatilità idroclimatica. Per esempio, il cambiamento climatico aumenta l’essiccazione della materia organica nelle foreste (il materiale che brucia e diffonde gli incendi) ed è considerato uno dei fattori chiave del raddoppiato numero di grandi incendi tra il 1984 e il 2015 negli Stati Uniti occidentali (Figura 3).

Si poteva contenere l’impatto del disastro? Certamente sì. Come gli esperti, i meno esperti, i Facesperti e gli Instaesperti hanno sottolineato in questi giorni, il fattore chiave è l’acqua. Senza citare brutti episodi come gli idranti asciutti denunciati dal National Geographic o dal Washington Post, seppure con accenti diversi, la California del sud vive da più di un secolo al di sopra delle proprie possibilità, importando enormi quantità d’acqua dal resto dello stato e dagli stati vicini. In passato, i californiani sono giunti a scatenare i conflitti armati, letteralmente armati di fucile e dinamite, raccontati da Roman Polanski in Chinatown. E mi vengono in mente gli inviti al risparmio del 1974, del tipo “se è marrone, scaricala” o “fai la doccia con un amico”. Un vago ricordi di quegli anni, assieme alle danze sulla University Ave di Berkeley per festeggiare le dimissioni del presidente Nixon e alla chitarra di Jerry Garcia. E alla fine del 1976 la situazione dell’acqua precipitò.

Le iniziative di prevenzione degli incendi, l’unico modo per ridurre in modo significativo il crescente rischio d’incendio in California, sono state la prima vittima dei tagli della spesa pubblica, state’s budget whiplash. Alla carenza di risorse per l’adattamento climatico non è estraneo il sistema fiscale chiamato “water’s edge”, approvato nel 1986. La legge del “bordo dell’acqua”, traduzione letterale di un ossimoro ma che in realtà si traduce come “legislazione di confine”, fornisce alle società un meccanismo per limitare i loro obblighi fiscali in California. Un editoriale di Jacobin, la rivista socialista americana cara a Noam Chomsky, punta il dito contro questo sistema che favorirebbe le grandi compagnie e, nel contempo, la vulnerabilità nei confronti degli incendi: Water’s Edge Is Draining the Budget, la legge fiscale sta prosciugando il bilancio (pubblico). E, aggiunge, colpisce soprattutto i fondi per i vigili del fuoco.

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La crescita della volatilità idroclimatica aumenterà il pericolo legato ai rapidi cambiamenti tra condizioni di elevata umidità e secca prolungata, fonte di inondazioni, incendi, frane ed epidemie. Ciò potrebbe accelerare un cambiamento globale dei criteri di gestione delle acque, verso la co-gestione dei rischi di siccità e alluvioni. Sì, potrebbe… Ma, come scrisse George Orwell, Nerone “giocherellava mentre Roma bruciava e, a differenza della stragrande maggioranza di coloro che lo fanno, giocava con la faccia rivolta verso le fiamme”.

Alla guida del pianeta, gli emuli di Nerone non mancano. Alcuni assomigliano pure al ritratto dell’imperatore attribuito a Rubens. Non sono solo coloro che negano il riscaldamento globale e le sue conseguenze a breve e lungo termine. Ci sono anche i campioni del greenwashing che in California come in Italia non mancano, anche se giocano preferibilmente di spalle.



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