Dai social media all’AI, così Donald Trump ha sgretolato il vecchio sistema di potere di Joe Biden

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Il presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden ha fatto un elenco completo dei nemici della democrazia, delle libertà e del popolo americano: nel Discorso di commiato che ha pronunciato lo scorso 15 gennaio c’è infatti assai di più, ma soprattutto di diverso, rispetto al richiamo fatto al suo predecessore, D.W. Eisenhower, che 64 anni fa, nella medesima circostanza, aveva messo in guardia dal pericolo rappresentato dalla crescita del potere ingiustificato del complesso militare-industriale americano. Richiamando espressamente quelle affermazioni, per Biden c’è oggi un pericolo altrettanto grande per l’America, quello che deriva dalla crescita di un nuovo potere incontrollato, rappresentato dal complesso tecnologico-industriale.

È un coacervo di ricchezze personali enormi, molte delle quali si sarebbero coagulate intorno a Donald Trump finanziando o sostenendone indirettamente la candidatura, o che ora per convenienza hanno repentinamente cambiato bandiera: sarebbero queste le cambiali firmate a favore di coloro che, in cambio di avere mano libera, ne hanno assicurato la vittoria a danno dell’intero popolo americano.

Si tratta di due pericoli diversi, incommensurabili: Eisenhower indirizzava infatti il suo monito ai futuri governanti americani, affinché nelle loro determinazioni si sottraessero alla influenza ingiustificata, cercata o subíta, derivante dalla congiunzione tra il potere dell’establishment militare che in quegli anni era divenuto uno strumento essenziale per mantenere la pace, e quello di un’industria degli armamenti di dimensioni straordinarie che era stato creato per perseguire lo stesso fine, determinando una situazione radicalmente nuova nell’esperienza americana.

La guerra dei social media

Biden si riferisce invece, e innanzitutto, al contesto mediatico particolarmente conflittuale che ha caratterizzato la recente campagna elettorale: Trump l’ha vinta perché ha potuto nuovamente tambureggiare sui social, come aveva fatto nella sua prima sorprendente campagna elettorale. Tutto merito di Elon Musk che l’ha fatto uscire dal cono d’ombra in cui era stato cacciato da Twitter, vietandogli l’accesso alla piattaforma per aver fomentato l’assalto del 6 gennaio al Campidoglio. Musk aveva fatto una scommessa, assai costosa ma vincente, per cui ora viene ampiamente ricompensato da Trump: non solo aveva rilevato Twitter in Borsa, ridenominandola X, appoggiandolo vistosamente nella sua campagna, ma soprattutto ha ribaltato il ruolo sempre più arcigno e incontrollato di guardiani del web che era stato imposto ai social media, trasformandoli in veri e propri censori, gatekeeper, degli interventi atti a interferire sulla narrazione mainstream.

La piattaforma di Musk ha adottato un atteggiamento eversivo, lasciando in rete anche gli interventi più violentemente contrari agli orientamenti correnti, facendo proprio il rigoroso rispetto del principio di libertà di espressione garantito dal Primo emendamento della Costituzione americana: a Musk non bastava l’enorme ricchezza accumulata, perché voleva avere anche la piena libertà di usarla. Una pretesa inammissibile, quella di seguire insieme Dio e Mammona, una rivolta al sistema che gli è costata l’immediata iscrizione tra i suoi nemici.

Il fatto è che la vittoria di Trump ha immediatamente sgretolato l’intero sistema di controllo sociale costruito negli anni, obbligando anche Facebook ad adeguarsi: il patron di Meta, Mark Zuckerberg, non lo ha fatto per convinzione ma per opportunismo di mercato, visto che rischiava l’abbandono della sua piattaforma da parte di milioni di utenti in cerca di libere praterie.

Questa è diventata la principale preoccupazione di Biden: gli americani, secondo lui, ora vengono sepolti sotto una valanga di disinformazione e disinformazione che consente l’abuso di potere, mentre la stampa libera si sta sgretolando, gli editori tradizionali scompaiono e i social media rinunciano al fact-checking. La verità è dunque soffocata da bugie raccontate per il potere e per il profitto: ecco perché, secondo lui, c’è la necessità di continuare a ritenere le piattaforme sociali responsabili della protezione dei minori, delle famiglie e della stessa democrazia americana da quest’abuso di potere.

Ci sono anche altri punti fortemente critici, secondo Biden, come la ricostituzione di monopoli, con l’accentramento di ricchezze sterminate che assumono posizioni di privilegio rispetto alla legge, e le zone d’ombra insondabili relative ai finanziamenti delle campagne elettorali. Accuse velate, ma neppure tanto.

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I rischi dell’Intelligenza Artificiale

C’è un secondo pericolo altrettanto grave da fronteggiare, dietro cui si cela sempre lo stesso nuovo sistema di potere tecnologico-industriale: senza le occorrenti salvaguardie, l’Intelligenza Artificiale che è la tecnologia più importante del nostro tempo se non di tutti i tempi, invece di essere sfruttata a favore dell’intero genere umano come per esempio nella ricerca medica volta a sconfiggere il cancro, potrebbe generare gravi minacce per i diritti, gli stili di vita, la privacy, il modo in cui l’America lavora e si difende. Per Biden non c’è dunque solo un pericolo esterno, per lo sviluppo dell’AI che ne sta facendo la Cina, ma anche uno interno.

Addio all’ambientalismo

Il terzo enorme pericolo è rappresentato dall’abbandono della strategia ambientalista, su cui in questi anni l’amministrazione Biden ha fatto fare all’America enormi passi in avanti per salvare il pianeta: anche in questo caso ci sono al lavoro potentissime lobby, soprattutto nel settore energetico. Quelle stesse lobby a cui Trump ha sempre dato grande ascolto autorizzando il contestatissimo maxi-gasdotto dall’Alaska e fino a definire praticamente una sciocchezza la questione del riscaldamento atmosferico di origine antropica: durante la sua prima Presidenza decise di ritirare l’adesione degli Usa dall’Accordo di Parigi sul clima.

C’è in atto uno scontro epocale, in America, tra due assetti di potere: tra lo storico complesso militare-industriale stigmatizzato da Eisenhower e quello nuovo tecnologico-industriale denunciato da Biden. E non è un caso che, mentre Trump ha più volte affermato che, se ci fosse stato lui alla Casa Bianca, la guerra in Ucraina non sarebbe mai iniziata, e che appena insediatosi da Presidente sarebbe in grado di farla cessare velocemente, Biden ha fatto dell’estensione della Nato e del sostegno militare fornito a Kiev un vessillo dei principi di libertà cui l’America si ispira inderogabilmente. Trump, invece, ha chiesto da tempo agli alleati europei di pagare direttamente per la propria difesa nell’ambito della Nato, cosí come con i Patti Abramo ha cercato di costruire un sistema di alleanze che responsabilizzi direttamente i Paesi arabi affinché condividano con Israele l’obiettivo di isolare l’Iran.

La svolta di Trump

L’obiettivo proclamato da Trump è far tornare prospera l’America: sarà ancora imperialismo, basato stavolta sul nuovo complesso di potere tecnologico-industriale, con i social media che non devono essere sottoposti ad alcun vincolo normativo specifico a loro carico come invece è stato fatto in Europa con il Digital Service Act per controllarli, i sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale liberi di svilupparsi, e le criptovalute che raccolgono fiumi di risorse. Venderà naturalmente armi e gas all’Europa, e metterà come promesso alti dazi alla Cina, per abbattere finalmente il deficit commerciale strutturale che cresce sempre di più per la maggiore forza del dollaro che raccoglie a debito capitali da tutto il mondo pagando loro alti tassi di interesse.

Per oltre mezzo secolo, in nome della libertà, della democrazia e dei valori dell’Occidente, il complesso militare industriale ha probabilmente badato più a rafforzarsi e ad arricchirsi che al benessere dell’America: per questo, stavolta, gli elettori hanno deciso di cambiare sia il cavallo che i padroni. ­­­­­­(riproduzione riservata)



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