L’accordo per la tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi ha rafforzato ancora di più il ruolo del Qatar come mediatore principale nella risoluzione dei conflitti internazionali. Da oltre quindici mesi a Doha le delegazioni di Hamas e Israele hanno trattato per raggiungere la fine delle ostilità grazie alle mediazioni dei funzionari dell’emiro Tamim bin Hamad al-Thani, che hanno avuto un ruolo preponderante rispetto ai colleghi egiziani e statunitensi.
Non è un caso se a dare l’annuncio ufficiale in conferenza stampa, ancora prima del presidente americano Joe Biden, sia stato Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, premier qatariota che negli anni è diventato una figura di riferimento della diplomazia del piccolo emirato arabo.
Le negoziazioni per Gaza sono solo l’ultimo caso, prima ancora il Qatar è stato capace di portare sullo stesso tavolo i talebani e gli Stati Uniti per l’accordo del 2021, a Doha è stato firmato anche l’accordo di pace tra il governo di transizione del Ciad e una decina di gruppi ribelli paramilitari dopo solo cinque mesi di trattative. E poi ancora il ruolo dell’emirato in Darfur per trovare l’intesa tra le fazioni rivali in Sudan. Infine, di recente, il paese aveva anche attivato i suoi contatti per il caso della giornalista italiana Cecilia Sala, detenuta per 21 giorni nel carcere di Evin a Teheran.
Ma come mai il Qatar ha assunto questo ruolo?
Principio costituzionale
«La politica estera dello stato si basa sul principio del rafforzamento della pace e della sicurezza internazionale e sulla promozione della cooperazione tra le nazioni». L’articolo 7 della Costituzione che il Qatar ha adottato nel 2004 è soltanto uno di quelli che cita in maniera esplicita l’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e come elemento principale della politica estera.
Un principio dovuto in parte alla necessità di contrastare l’egemonia di altri paesi del Golfo Persico, come quello saudita. Una spinta fondamentale verso la diplomazia è stata causata dall’embargo imposto dagli altri paesi arabi contro Doha dal 2017 al 2021, dopo le accuse di sovvenzionare gruppi islamisti e terroristici. Da quel momento, il Qatar ha cercato altre sponde amiche in Turchia, Russia e Iran.
Ha fatto di necessità virtù, diventando oggi un attore decisivo e imprescindibile nel panorama internazionale. E i successi ottenuti in campo diplomatico sono parte integrante del soft power del paese, che serve anche ad avallare le pesanti accuse di violazioni dei diritti umani, di cui l’emirato tiene conto.
Basti pensare alle pressioni per influenzare i parlamentari europei per ripulire la propria immagine durante il mondiale del 2022, che ha portato allo scandalo del Qatargate.
Caratteristiche diplomatiche
Più volte il Qatar è stato accusato di ambiguità, di sostenere o almeno tollerare vari gruppi islamisti. Sia Hamas che i talebani hanno uffici politici a Doha, per esempio. Ma è proprio questa la sua forza nelle trattative, ovvero la capacità di dialogare contemporaneamente sia con l’Occidente sia con attori più radicali, e di farlo direttamente con i leader dei vari gruppi. Il paese viene visto come credibile e neutrale, né allineato agli altri paesi del Golfo né all’Occidente, nonostante sia uno degli alleati più preziosi degli Stati Uniti.
L’apertura di un ufficio dei talebani a Doha nel 2013 ha raccolto i suoi frutti negli anni a venire, così come aver ospitato Hamas dopo la fuga dei suoi leader dalla Siria.
In Qatar la diplomazia è prerogativa dello stato ed è affidata al ministero degli Esteri, guidato dal premier Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, oppure all’ufficio dell’emiro, dove siedono una serie di consiglieri che vantano rapporti consolidati e un’esperienza difficile da eguagliare. L’emirato ha anche fondato istituti e think tank dedicati proprio alla risoluzione dei conflitti internazionali e alla diplomazia, che forniscono annualmente nuove strategie e approccio a seconda delle trattative in corso.
La sua posizione geografica è altrettanto cruciale, un ponte tra Oriente e Occidente. Inoltre, un potere da sottovalutare è anche quello mediatico. Attraverso la nota emittente Al Jazeera, Doha riesce a diffondere i suoi messaggi ovunque: sia nel mondo occidentale che quello arabo. Infine, a suo vantaggio, ci sono i successi ottenuti nelle mediazioni grazie anche alle risorse energetiche ed economiche che può mettere nel piatto come contropartite.
La disponibilità economica permette anche di svolgere un ruolo umanitario di primo piano, come accaduto nella Striscia di Gaza sia in questo conflitto che in quelli precedenti. Negli ultimi 18 anni il Qatar ha messo a disposizione circa un miliardo di euro per la ricostruzione, ha garantito la supervisione delle autorità israeliane sui fondi, facendoli anche muovere attraverso le banche dello stato ebraico.
Successi
Il potere della diplomazia è quello di incastrare anche stati che apparentemente non hanno nulla in comune o non vantano relazioni storiche. Come accaduto nel settembre 2023, quando Doha ha mediato il rilascio di cinque prigionieri americani detenuti in Iran in cambio dello sblocco di sei miliardi di dollari iraniani custoditi in alcune banche sudcoreane. Non solo, il Qatar si è posto come garante gestendo anche i fondi trasferiti all’Iran attraverso un organismo di monitoraggio.
Esattamente un anno prima, invece, il paese arabo aveva contribuito a uno dei più grandi scambi di prigionieri tra Russia e Ucraina a solo sei mesi dall’inizio dell’invasione di Mosca: 215 ucraini, tra cui diversi membri del battaglione Azov, in cambio di 55 prigionieri russi.
Nello stesso mese i mediatori arabi hanno incassato anche un altro successo: la libertà dell’ex militare americano Mark Frerichs, rapito dai talebani nel 2020, in cambio del trafficante di droga Bashir Noorzai. Nel 2019 ha liberato due professori universitari di Stati Uniti e Australia in cambio di altri combattenti talebani. E poi ancora nel 2022 la liberazione di alcuni funzionari Onu rapiti in Yemen. Insomma, successo chiama successo e squadra che vince non si cambia. Le evacuazioni dei civili stranieri dall’Afghanistan sono state gestite soprattutto da Doha.
Tuttavia, ci sono anche momenti critici che a volte rischiano di far arenare le trattative. Altri avrebbero ceduto davanti alla messa al bando di Al Jazeera da parte di Israele, che ha accusato ripetutamente l’emittente di fake news, o davanti all’uccisione di Ismail Haniyeh, ex leader di Hamas, a Teheran. «Come può avere successo la mediazione quando una parte uccide il negoziatore dell’altra parte?», aveva detto il premier Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani non chiudendo però definitivamente la porta delle trattative. E poi a novembre la minaccia di chiudere l’ufficio politico di Hamas a Doha per via della chiusura dell’organizzazione palestinese.
Ma alla fine la trattativa si è chiusa. Ora bisogna vedere se la tregua reggerà per tutte le tre fasi previste. «Ci aspettiamo che le parti rispettino l’accordo, sappiamo che accordi come questi sono molto complessi e possono esserci dei problemi, ma siamo pronti ad affrontarli», ha detto al Thani in conferenza stampa vantando tutta la sua esperienza.
In attesa dei risultati finali, la leadership qatarina ha incassato l’ennesimo successo diplomatico.
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