Argentina chiama Italia: parola d’ordine “democrazia zero”

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Dedicare un momento di attenzione alla situazione dell’Argentina, mentre la quotidiana ostentazione di ‘inumanità’ da parte di Israele a Gaza, mascherata da cronaca, rende intollerabili perfino gli esercizi di qualificazione di gravità criminale e si hanno sullo sfondo i ‘normali’ tempi lunghi delle diplomazie di fronte all’orrore-massacro delle guerre – dagli scenari del Medio Oriente, a Ucraina, Sudan, Myanmar etc. – può sembrare un poco strano.

Le cronache ufficiali dicono, infatti, che la situazione dell’Argentina e ancor più il suo significato per i rapporti con Italia-Europa-Mondo non suscitano problemi e tanto meno preoccupazioni. La presidente del Consiglio italiana ha donato, con una dimostrazione d’affetto non cerimoniale, la cittadinanza italiana al presidente argentino che, pochi giorni prima, le aveva omaggiato un modellino di motosega come riassunto della propria concezione del rapporto con la società: segnali non equivoci, al di là di non perfetti accordi nelle trattative Mercosur sui prodotti agricoli, di una coincidenza solida di obiettivi e di stili di lavoro. Le dichiarazioni politiche ed economiche più recenti fornite dai governi dei due paesi confermano che, secondo loro, ci sono buone ragioni per guardare con meno pessimismo al futuro.

Con i suoi problemi, e nonostante i tanti misteri (esemplare il ‘ritrovamento’ di fondi per un ormai più che mitico ponte sullo Stretto, cui corrispondono tagli incredibili su scuola e ricerca), il bilancio italiano è stato approvato, anche se esentandosi dai passaggi parlamentari di un sistema democratico. Dall’altro lato dell’oceano, alcuni macro-indicatori economici dicono che ‘il rischio paese’ è diminuito, e che l’Argentina è su una buona strada, se persiste nella sua obbedienza rigorosa, senza se senza ma, ad attori-controllori finanziari, nazionali e internazionali. A porre dei dubbi ci sono, in realtà, i ‘punti di vista’ dell’Observatorio de la Deuda Social e dell’Observatorio de Trabajo, Economia y Sociedad, con dati che raccontano che cosa succede quando la vita delle persone incrocia l’economia della motosega: la somma di povertà e indigenza interessa fino al 73% della popolazione; si può morire, anche suicidandosi, perché i farmaci non sono più rimborsabili, e sono aumentati fino al 300%; in un paese esportatore mondiale di alimenti, l’urgenza è una campagna nazionale contro la fame lanciata contro le politiche del governo con un appello del premio Nobel Perez Esquivel; i salari dei dipendenti pubblici sono stabilmente ridotti del 22%; un’altra campagna chiede, nel contesto di una resistenza ai tagli a un sistema universitario da sempre modello di accessibilità e con livelli alti di ricerca, che il salario di un docente universitario, in caduta libera, non precipiti sotto il livello di povertà; sono sospesi tutti i fondi stanziati per sostenere i ‘popoli originari’. Basta questo, senza produrre statistiche estese, stratificate per disuguaglianze di territori e di popolazioni più o meno fragili. Senza dimenticare la linea più di fondo che mira a restituire diritto di memoria, e non solo, ai protagonisti di una delle dittature più tragiche della storia e, per contro, a rendere impraticabili gli ambiti-strumenti di ricerca promossi da Madres y Abuelas di desaparecidos (divenuti un vero tesoro metodologico e operativo a livello internazionale) mirati al riconoscimento dei gruppi umani che hanno preso il loro nome dalle tante migliaia di desaparecidos delle repressioni e dei massacri della dittatura quasi decennale tra gli anni 70-80.

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Non è difficile proporre dati che rendono tra loro decisamente coerenti, al di là delle differenze che riflettono storie infinitamente diverse, la realtà argentina e quella italiana: i livelli crescenti e ben documentati di povertà, la crisi della scuola di tutti i gradi, quella di un sistema sanitario esemplare, la privatizzazione. Aggiungendo un altro dato non banale, che è il capitolo dei migranti, che in Argentina provengono da molti paesi dell’America Latina, e sono, come in Italia, popolazioni senza garanzie di diritto.

La coerenza di fondo non è tuttavia nei dati specifici, ma negli obiettivi e nella logica, come messo in evidenza in più modi nelle ultime settimane (Atreju, tra gli altri, docet). La democrazia è il nemico logico e strutturale che occorre neutralizzare nei suoi aspetti di fondo, come tappa urgente, da percorrere con tutta la violenza e rapidità necessarie per non permettere un’opposizione significativa, nel cammino verso una concentrazione di poteri politici, perfettamente allineati e funzionali a poteri economici sostanzialmente privati che impongono le loro regole. Nulla di nuovo, di fatto, nella logica di questi meccanismi. È una sostituzione progressiva, implicita, che si traduce in esplicita, che non concede spazio a una dialettica reale con opposizioni che, per mancanza di prospettive e per una cultura-memoria di dialettica ‘democratica’, sono in una posizione di (temporanea?) inferiorità e di non credibilità perché non possono giocare a ‘mentire’ sistematicamente con promesse di cambiamenti immaginari, che potrebbero attrarre consensi.

La cancellazione del ‘pubblico’ nel suo significato di ‘bene comune’ è essenziale: la motosega come simbolo shock esibito da Milei e regalato a Meloni come segno di riconoscimento reciproco di ruolo e di stile indica il disegno di una destra nella quale non c’è posto per persone che siano soggetti di diritto, e perciò di parola-autonomia-progetto. Certo i ‘paletti’ di democrazia che esistono in Italia, nella sua memoria e nelle istituzioni, impongono ai vari disegni meloniani tempi di attese e di alleanze. Milei è uno dei ‘mimi’, da inserire-esibire in una rosa di stati che mira a divenire piattaforma capace di creare, senza sforzi di pensiero, per inerzia-imitazione, un’area affermativa di tutte le gradazioni del nero. L’obiettivo è un potere che svuoti la politica dei suoi residui di democrazia sostanziale, per essere interlocutore di oligarchie private globali: pensate come alleate, ma che si esercitano, sempre più apertamente, per essere i colonizzatori di un ordine globale libero da popoli che aspirano ‘ancora’ ad avere un destino diverso da quello delle ‘materie prime’.

L’espressione più chiara, violenta e data come ovvia del mimo di democrazia zero proposto da Milei, e di fatto dominante in tutti i modelli di sviluppo, è la diseguaglianza. Dice che la ‘parentesi’ del tempo che ha seguito la seconda guerra mondiale si è chiusa. Gli umani non sono più tutti uguali. Non è certo Milei che lo insegna. Lo Stato di Milei dice allo Stato Italia, che da anni è salito velocemente nella classifica dei paesi più strutturalmente (cioè programmaticamente) diseguali, e alla parte politica italiana al potere, che è possibile, e necessaria, l’unica vera riforma costituzionale, che non si fa cancellando articoli, ma rendendoli obsoleti: per dimenticanza, o, meglio ancora, perché ‘offensivi e impensabili‘ per i poteri che contano, nazionali e globali. L’articolo 3 può restare al suo posto. Basta non applicarlo, e neppure citarlo, perché confondente ed estraneo, complesso: soprattutto in settori così terra terra, vicini alla gente, come scuola, sanità, salari, casa. L’Economia con la maiuscola non può correre il rischio di considerarlo come chiave di delegittimazione di tutte le legalità che ne prescindono. Il colonialismo degli oligarchi non è interessato alle idee e ai valori: la ‘gente’ ci può credere, li può perseguire, basta non mettere scadenze precise. La diseguaglianza è perfetta come descrittore di sviluppo selettivo: trasversale a tutti i campi, purché valutabile nella sua sostenibilità solo da chi comanda. Che deve perciò garantire, con regole precise, la legalità della sicurezza, che è una coperta che può estendersi al di là dell’immaginabile.

È bene ritornare all’inizio di questa riflessione. Il silenzio della politica degli Stati, l’impotenza del diritto internazionale, la connivenza delle economie di guerra (attivissima nel dichiarare perseguibili per ragioni di sicurezza il pensiero e le pratiche della pace e negabili dalla stampa le evidenze del genocidio fino ad ammazzare giornalisti, sanitari, con una preferenza per i bambini, con bombe, fame, freddo, mutilazioni) sono il tessuto della coperta stesa perché il 7 ottobre 2023 la sicurezza del fantoccio della democrazia occidentale è stata violata. Gaza è il promemoria di fino a che punto la disuguaglianza può arrivare quando la vita delle persone viene assunta come variabile irrilevante fino all’inesistenza e dipendente dalle definizioni: quella di nemico (declinata in tutte le sue definizioni ‘legalmente’ riconosciute, come terrorista, straniero …) e quella più onnicomprensiva che sconfina facilmente in quella di non-umano: disposable, usa e getta, scarto, prodotto inevitabile dell’una o dell’altra guerra.



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