La stagione degli uragani negli Stati Uniti e la mancata protezione assicurativa

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“Il cambiamento climatico sta aumentando le tempeste e la colpa è dei combustibili fossili”. Ian Duff è un attivista di lungo corso di Greenpeace ed è a capo della Campagna contro le trivellazioni negli Stati Uniti. Legge così i danni causati in Florida da Milton, l’ultimo uragano in ordine di tempo ad aver attraversato con estrema violenza il Sud degli Stati Uniti nell’ottobre 2024. 

I dati presentati in uno studio dell’Università dell’Ohio, con sede a Columbus, sembrano dargli ragione. In media, la stagione degli uragani atlantici -da inizio giugno a fine novembre- registra quattordici tempeste, sette uragani e tre uragani maggiori (la cui intensità è stata classificata oltre la categoria 3, in una scala di 5). Le stagioni più significative sono state registrate nel 2017 e nel 2020, quest’ultima con un record di trenta tempeste e sette uragani maggiori.  

Nel 2024 sembra chiaro che siamo di fronte a una stagione ben sopra la media: quest’anno, infatti, il National hurricane center di Miami ha registrato lo sviluppo di 18 tempeste, 11 uragani e cinque uragani maggiori. Non sono stati battuti i record della stagione 2020 ma ci si è andati vicini. Inoltre, quattro dei grandi uragani presenti sono stati classificati come tempeste di categoria 5 (la più elevata).

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La tendenza indicata da Ian Duff, dunque, sembra confermata: con l’innalzamento delle temperature avvenuto negli ultimi decenni, anche la stagione degli uragani atlantici è andata intensificandosi, tanto che la maggioranza dei fenomeni incredibilmente distruttivi si è avuta nell’arco degli ultimi trent’anni. 

Questo aumento del numero e della violenza degli eventi distruttivi legati alla stagione degli uragani dell’Atlantico è qualcosa che riguarda estremamente da vicino la popolazione delle aree più colpite. Questo è tanto vero non solo per l’ovvio rischio di rimanere feriti o uccisi durante le tempeste -gli uragani Helene e Milton, fra settembre e ottobre, hanno causato negli Stati Uniti 260 morti, l’intera stagione circa 400- ma anche per gli enormi danni causati da questi fenomeni.

La stagione del 2024 è infatti stata anche la seconda più costosa della storia, con circa 190 miliardi di dollari di danni. “Milioni di persone in tutta la Florida, molte delle quali non hanno un’assicurazione, devono ora affrontare costi astronomici per ricostruire case e comunità distrutte”, continua Duff.

In teoria molti abitanti delle zone ad alto rischio, come la Florida, la Louisiana e la Georgia, dovrebbero essere assicurati contro questo tipo di calamità ma in realtà le cose non stanno proprio così.

In Florida, dove il livello delle assicurazioni è il più alto dell’intero Sud, solo il 25% della popolazione è in media coperto da una polizza. Nelle contee di Pinellas e Taylor, pesantemente colpite dagli uragani Milton e Helene, in alcune aree solo il 5% degli abitanti è assicurato. Fuori dallo Stato il dato crolla drasticamente: in Georgia, North Carolina e South Carolina, anche esse coinvolte da questi fenomeni, il numero degli assicurati raggiunge a malapena l’1% del totale. 

Ma perché molte persone non si assicurano contro tempeste e uragani? I motivi sono molteplici. Una ragione sono senza dubbio i costi, soprattutto per le fasce più povere. Una copertura assicurativa base per una casa di medie dimensioni in Florida può costare tra i duemila e i seimila dollari all’anno, tre volte la media nazionale, con un importo deducibile estremamente basso, talvolta sul 2%.

I salari più bassi in quello Stato si aggirano al di sotto dei 1.500 dollari al mese, e il 25% della popolazione ne guadagna meno di quattromila: se calcoliamo il costo dei beni di consumo e dell’assicurazione sanitaria, che può raggiungere vette impensabili per persone con patologie, risulta chiaro come un certo numero di famiglie decida di risparmiare sulle assicurazioni contro gli uragani, confidando nella buona stella.

Ma c’è dell’altro: anche se si possiede un’assicurazione sulla casa contro gli uragani, molto spesso si rischia di venire risarciti solo parzialmente, o di non venire risarciti affatto. Infatti, le polizze assicurative prevedono tendenzialmente una copertura contro i danni causati dalle tempeste, dunque da vento e pioggia, ma non dalle inondazioni.

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È la distinzione che negli Stati del Sud viene operata tra danni “da sopra” e danni “da sotto”: quando una casa è danneggiata da un uragano, gli addetti della compagnia assicurativa svolgono un sopralluogo e decidono se i danni sono stati causati da vento e pioggia, e in tal caso vengono risarciti; o se sono stati causati dalle inondazioni, e dunque restano a carico dell’assicurato.

Si stima che negli Stati Uniti, il cui territorio è stato interessato per il 99% da inondazioni dal 1996 a oggi, solo il 4% della popolazione sia assicurato contro le inondazioni, la maggioranza di questi attraverso l’agenzia governativa Federal emergency management agency (Fema), che considera obbligatorio questo tipo di assicurazione nelle zone ad alto rischio, a differenza di molte compagnie private. 

I danni provocati dagli uragani, ma anche le compagnie assicurative e le modalità con cui vengono o meno stipulate le polizze, non sono un problema soltanto per i proprietari di case private ma anche per moltissimi agricoltori e proprietari di ranch e allevamenti.

Secondo uno studio dell’Institute for food and agricultural sciences della University of Florida di Gainesville, infatti, le perdite economiche per gli agricoltori locali a seguito del solo uragano Helene possono essere stimate fra i 40 e i 160 milioni di dollari, ma i dati sono provvisori e per ora difficili da rilevare.

Come spiega Christa Court, direttrice dell’istituto, “l’uragano Helene si è abbattuto sulla Florida solo otto settimane dopo l’uragano Debby, nella stessa regione dello Stato, e abbiamo dovuto modificare i nostri metodi per assicurarci di non fare un doppio conteggio e sovrastimare le perdite di produzione. L’uragano Milton, che ha toccato terra poco meno di due settimane dopo Helene ed è stato associato a un’esplosione di attività dei tornado, ha comportato ulteriori complicazioni che stiamo ora gestendo nella nostra valutazione di questo evento”.

Gli allevatori non se la passano certo meglio. Come ha dichiarato Ray Hodge, della United dairy farmers of Florida, “l’impatto dei danni sulla produzione di latte può richiedere anche più di sei mesi per essere rilevato, ma si tratta di soldi veri. È difficile quantificare”. 

Per molti il tracollo economico è insostenibile. Secondo una tendenza in crescita, fra il 2017 e il 2022 -gli anni in cui si è battuto ogni record per quanto riguarda la stagione degli uragani- in Florida hanno chiuso 2.881 fattorie, una perdita del 6% delle aziende complessive. Il dato, tuttavia, è destinato ad aumentare: infatti negli ultimi anni è iniziato anche un esodo delle compagnie assicurative, che dopo avere valutato costi e benefici della propria permanenza nel Sunshine State hanno deciso di lasciare la Florida e di interrompere le polizze assicurative già stipulate con privati e aziende agricole.

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Come conseguenza di queste politiche delle compagnie assicurative molti agricoltori sono costretti a chiudere la propria azienda, dopo aver subito ingenti perdite a causa dei danni provocati dagli uragani, e talvolta anche a migrare dalla Florida e a spostarsi in altre aree degli Stati Uniti, con conseguente contraccolpo sull’economia locale. 

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